Ci sono 87 nuove persone indagate dalla Procura di Reggio Emilia, guidata da Gaetano Paci, e 11 milioni e mezzo di beni per i quali è stato disposto il sequestro preventivo dal giudice Luca Ramponi. Sono questi gli sviluppi dell’indagine Billions, che nel 2020 aveva portato alla richiesta di rinvio a giudizio per altre 220 persone coinvolte in un colossale giro di false fatturazioni destinate ad abbattere gli utili e a frodare lo Stato. Allora nelle maglie di Polizia e Guardia di Finanza erano finiti gli artefici della associazione a delinquere e le loro “società cartiere”. Società di fatto inesistenti ma capaci di sfornare Foi (fatture per operazioni inesistenti) al ritmo di milioni di euro al mese.
Nel processo di primo grado le condanne sono state 61. Oggi sotto la lente della Procura finiscono i beneficiari di quelle operazioni: secondo le accuse imprenditori e aziende mettevano a bilancio tra il 2015 e il 2018 voci di spese in realtà mai sostenute per abbattere gli utili, giustificandole con fatture fasulle ottenute grazie agli accordi stretti con le cellule operative dell’organizzazione criminale. Per loro ora arriva la stangata dell’operazione “Consequence”, con il sequestro dei beni che ha visto impegnati oltre cento militari e poliziotti in undici regioni d’Italia. La competenza territoriale dell’indagine è della Procura di Reggio Emilia (l’inchiesta è assegnata al sostituto procuratore Giacomo Forte) perché nella provincia emiliana è stato commesso il reato (o il peccato) originale: la creazione di quelle società cartiere capaci di generare utili dal nulla. Un peccato emerso con il maxi processo Aemilia e riemerso nelle conseguenti grandi inchieste sulla ‘ndrangheta in Pianura Padana: da Grimilde e Perseverance, da Camaleonte a Taurus. Le società riconducibili alla organizzazione criminale che emettevano le fatture sono 31, 86 quelle che le ricevevano: società individuali o srl i cui titolari risiedono principalmente in Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Calabria. Ma alcuni sono albanesi, altri sono nati a New York e in Florida.
Tra i fornitori di fatture false, per esemplificare, risulta la Ips psa che secondo la Guardia di Finanza è stata “evasore totale” negli anni 2016 e 2017, sebbene abbia emesso fatture per 18 milioni e movimentato complessivamente 24 milioni di euro. Una società operativa formalmente nel campo del commercio all’ingrosso di imballaggi ma che, stando agli accertamenti, non aveva nessuna sede fisica o magazzino e disponeva di un solo camioncino peraltro senza rimorchio. Tra gli imprenditori colpiti dai sequestri odierni figurano cognomi noti di famiglie legate alle vicende della criminalità organizzata di stampo mafioso operative nel nord Italia: dai Mendicino ai Brugnano, dai Macrì al Falbo ai Sestito. Una delle società cartiere che emettevano fatture false era secondo gli inquirenti la Dante Gomme di Cadelbosco Sopra . Autofficina che appartiene alla famiglia Sestito e nel cui capannone il titolare, l’anziano Dante Sestito, nell’ottobre 2021 sparò un colpo alla testa con una 44 Magnum rubata a Salvatore Silipo, di 29 anni, uccidendolo sul colpo. Una esecuzione, avvenuta dopo aver fatto inginocchiare la vittima, davanti al fratello di Salvatore, Francesco Silipo e al cugino Piero Mendicino.
L’intreccio tra criminalità organizzata mafiosa e non mafiosa, nella gestione della falsa fatturazione, è testimoniata dall’inchiesta Billion, con cento indagati residenti a Reggio Emilia nei comuni a maggiore concentrazione ‘ndranghetista. Ma anche dal parallelo processo Perseverance, il cui rito ordinario inizierà a settembre 2023. Secondo le accuse (che ha già portato a condanne in abbreviato) una decina di società cartiere della ‘ndrangheta emetteva fatture false per 372 società del territorio emiliano romagnolo. Non si trattava di società in difficoltà, che non riuscivano a pagare i dipendenti. Perché la falsa fattura la richiede in genere chi ho molti utili e non vuole pagare tante tasse. Una doppia beffa per chi lavora e suda onestamente.
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