foto da Quotidiani locali
Capire i cambiamenti della società attraverso lo sport: è quello che fa Simone Gambino (presidente onorario della Federazione Italiana Cricket) nel suo ultimo libro che mette insieme storia del cricket e ius soli sportivo. Secondo di una trilogia, “Ius sanguinis, ius soli” ripercorre l’evoluzione di questo sport in Italia dal 1997 al 2009, intrecciando vittorie e campionati con la questione della cittadinanza.
Come nasce questo libro e che fase racconta rispetto al primo?
«Il primo libro raccontava la storia del cricket in Italia come sport non riconosciuto e terminava con il riconoscimento da parte della federazione internazionale e del Coni nel marzo 1997 in vista della candidatura di Roma alle olimpiadi del 2004. Questo secondo volume riparte dal 1997 e racconta dodici anni in cui questo sport è cambiato, non solo perché diventato ufficiale, ma soprattutto per la composizione delle sue squadre. Dal 1997 il cricket, proprio come l’Italia, ha subito l’influenza del fattore immigratorio: i giocatori italiani e borghesi, importatori dello sport, sono diventati adulti, hanno smesso di giocare e sono stati sostituiti da immigrati di prima e seconda generazione».
Qual è stato l’evento significativo legato a questo cambiamento?
«Il 21 agosto 2009 la nazionale under 15 ha vinto i campionati europei B. La squadra era composta da un solo italiano e 12 immigrati dall’Asia (Bangladesh, Sri Lanka, India, Pakistan e Afghanistan) La vittoria fu provocatoriamente dedicata a Umberto Bossi e accese la discussione pubblica. Pochi giorni dopo, l’allora presidente della Camera Fini definì i giocatori “esempio di una nuova italianità da abbracciare”. È stato quello l’episodio dove il cricket è diventato simbolo di una nuova Italia, multiculturale, multi religiosa, multietnica. A dispetto delle giustificazioni di alcuni politici razzisti che non volevano riconoscerlo».
La Federazione Italiana cricket, nel 2002, cioè 21 anni fa, è stata la prima ad ammettere gli sportivi di origini non italiane al proprio interno. Quale soluzione è stata trovata all’epoca per ammettere anche stranieri?
«Negli anni Novanta, quando il cricket in Italia diventa riconosciuto ufficialmente, iniziano a entrare nelle squadre ragazzi immigrati, che giocano o vorrebbero giocare, ma non possiedono la cittadinanza italiana, perché pur nati in questo Paese devono aspettare il compimento della maggiore età per ottenerla. Rappresentano una grande risorsa sportiva e non, per cui la Federazione decide di ammetterli anche prima del compimento dei 18 anni. Poi, sempre la Federazione, fa un passo ulteriore: ammette anche chi non è nato in Italia ma ha frequentato qui le scuole per almeno quattro anni. Dal cricket, quindi, ben prima delle attuali discussioni in merito, è arrivata l’attuazione di uno ius soli e ius scholae».
Oggi quante persone in Italia giocano a cricket e quante sono straniere? Di quali nazionalità?
«Il 95% delle persone che giocano sono immigrati; il resto italiani, alcuni di seconda generazione. Il cricket è legato al mondo anglosassone e poi esportato nel subcontinente indiano. La maggior parte dei giocatori ha quelle origini: Sri Lanka, Pakistan, India, Bangladesh e Afghanistan. Oltre ai numeri ufficiali ci sono centinaia di giovani immigrati di seconda generazione che praticano questo sport a livello amatoriale. La nazionale oggi è composta da italiani residenti all’estero, australiani e sudafricani. Questa squadra è il risultato raggiunto grazie alla presenza di cinque o sei grandi giocatori di origine straniera. Come la vittoria del 1998 contro l’Inghilterra: impensabile battere gli inglesi nel cricket, ma l’Italia ci riuscì grazie all’accoppiata di un oriundo siciliano, Joe Scuderi, e un immigrato singalese, Hemantha Jayasena».
Qualche esempio locale particolarmente riuscito di incontro tra sport e immigrazione?
«A livello locale esistono circa 40 squadre e la presenza di persone con origine straniera è forte. Cito Anam Mollik, di origini bengalesi, che è stato un giocatore molto forte e oggi si dedica a una carriera di manager in Italia. Ancona, città portuale con forte presenza bengalese, ha una squadra molto attiva, il Banglancona. Altro esempio virtuoso è proprio Venezia: il presidente del Venezia Cricket club Miggiani ha realizzato un campo sportivo e ha coinvolto una serie di atleti bengalesi nella squadra locale».
Domani a Mestre, alle 19,30 all’hotel Bologna in via Piave, nella serata organizzata dal Panathlon, si terrà la presentazione del libro di Simone Gambino, storico fondatore e oggi presidente onorario della Federazione italiana cricket, “Ius sanguinis, ius soli”, sul tema dello sport e dell’integrazione.