Ci sono i luoghi comuni: «Uno spinello al giorno che male vuoi che faccia?». Ci sono i falsi miti: «Sono molto peggio alcol e fumo!». Ci sono i dibattiti sociali: «Perché lo Stato vuole probire le canne e invece ci guadagna con le sigarette?». Poi ci sono i fatti. Come quelli denunciati, in modo pragmatico e al di fuori di ogni ideologia, dal rapporto dell’International Narcotics Control Board (INCB, organo delle Nazioni Unite), presentato a Vienna lo scorso marzo. Il documento - relativo al 2022 - analizza consumo e diffusione di cocaina, fentanyl, oppiodi e cannabis. E su quest’ultima, le conclusioni sono nette: «In tutti gli Stati in cui è stata legalizzata, i problemi di salute legati alla cannabis sono aumentati»; e ancora, «la liberalizzazione non ha avuto successo nel dissuadere i giovani dall’usarla e i mercati illeciti persistono».
Entrando nel dettaglio,si legge che nelle giurisdizioni dove la marijuana è libera sono aumentati di otto volte i ricoveri dovuti a dipendenza e astinenza, mentre sono quadruplicati quelli per episodi di psicosi causati dalla droga. «Adolescenti e giovani» continua il documento «consumano molta più cannabis negli Stati in cui è stata legalizzata rispetto ad altri in cui resta illegale». Mentre nel Colorado, dove l’uso ricreativo è lecito da fine 2012, tra il 2013 e il 2020 gli incidenti stradali mortali legati alla sostanza sarebbero raddoppiati. Nè si salvano biscotti o tisane alla marijuana (o prodotti simili): possono essere pericolosi in sé, assumendoli o preparandoli senza cognizione; e contribuiscono a banalizzarne il consumo.
Non regge neppure l’argomentazione che, in questo modo, si sottrae mercato alla criminalità. Un beneficio spesso citato da chi è favorevole a «normalizzarla» ma che non si è verificato: secondo il Board, lo spaccio illegale è sì in leggero calo, ma continua tranquillamente anche laddove circola la cannabis «consentita»: in Canada costituisce il 40 per cento del mercato, in Uruguay quasi il 50 per cento, in California il 75. E le entrate fiscali provenienti dalla vendita legale di cannabis sarebbero inferiori alle aspettative (appena l’1 per cento del budget negli Stati in cui è legale).
Il rapporto delle Nazioni Unite non afferma, in maniera drastica (non sarebbe nel suo stile), che la legalizzazione della cannabis è un’idiozia, ma invita a ripensarla: «Gli effetti dell’uso di cannabis sugli individui e sulla società andrebbero approfonditi prima di prendere decisioni sulla sua legalizzazione».
«Sostenere che la marijuana è dannosa oggi porta ad attirarsi addosso l’etichetta di moralista, ma studi e statistiche parlano chiaro» commenta Riccardo Gatti, direttore della Struttura complessa, programmazione, studi e ricerche nell’ area delle dipendenze presso la ASST Santi Paolo e Carlo di Milano. «In questo caso, come per altre sostanze, i governi devono agire ragionando sugli obiettivi. Certo, si potrebbe sostenere che negli Stati Uniti legalizzarla ha portato a nuovi posti di lavoro, nuove imprese, entrate fiscali; e che una certa percentuale di persone, oggi, può assumere prodotti di qualità controllata ed evitare problemi legali. Ma era quello l’obiettivo? Può essere che la situazione, nel tempo, si stabilizzi, ma per ora i dati non sono rassicuranti. Il mercato illegale coesiste con quello legale e i consumi aumentano».
Secondo Gatti, il mondo della cannabis è ormai un brand soggetto alle regole del mass market. Si inventano così nuovi dosaggi e nuove forme di consumo, con un principio attivo più potente, «perché bisogna aggiungere valore al prodotto per rivitalizzarne il desiderio e aumentare i consumi. La potenza è diventata un valore».
Una strategia che ha presa soprattutto nelle fasce più giovani, dove l’uso di cannabis può slatentizzare disturbi psichiatrici, che magari non sarebbero mai emersa o lo avrebbero fatto più tardi. «In età adolescenziale, e fino a circa 20-25 anni, il cervello è in evoluzione, forma e collega circuiti neuronali, si costruisce un assetto che durerà per il resto dell’ esistenza» afferma Gatti. Le sostanze psicoattive, in pratica, modificano il modo in cui il cervello funziona, ricava piacere e si relaziona col mondo. E interferiscono in equilibri delicati, specie nei giovani e negli anziani, agendo su aree in cui si costruisce la memoria e si processano le informazioni; alterano la velocità del pensiero e i tempi di reazione.
«L’altro giorno mi ha telefonato un padre preoccupatisismo perché il figlio 15enne era convinto che farsi microdosing di allucinogeni potesse potenziare le sue facoltà mentali. Sì, in alcuni studi in effetti si è visto queste droghe agiscono aumentando la plasticità neuronale. Il problema è che lui aveva 15 anni e i genitori erano disperati perché lo vedevano sempre più strano e alterato. In tante famiglie con adolescenti ci sono dibattiti pazzeschi sulla cannabis, “ma se io fumo due spinelli alla settimana che male mi fa rispetto a voi che bevete vino tutti i giorni”, ci si perde intorno ai dettagli e non si vede una questione essenziale: che qualunque sostanza che agisce sul funzionamento cerebrale dovrebbe essere evitata sotto ai 25 anni».
E rendere la marjuana più accessibile ha esattamente l’effetto opposto: adolescenti e giovani ne fanno un consumo maggiore (lo evidenzia il rapporto delle Nazioni Unite, ma non è certo una sorpresa) e nel contempo abbassa la percezione dei rischi e delle conseguenze negative sulla salute. n
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