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Cinema al 100 per cento, ecco le recensioni dei film in sala dal 13 aprile

AS BESTAS

Regia: Rodrigo Sorogoyen

Cast: Denis Ménochet, Marina Foïs, Luis Zahera, Diego Anido, Machi Salgado

Durata: 137’

Nella folgorante sequenza iniziale di “As Bestas”, il nuovo film del regista spagnolo Rodrigo Sorogoyen, alcuni uomini immobilizzano un cavallo per il taglio della criniera, come nella tradizione galiziana che spiega anche il titolo del film (l’usanza è chiamata “rapas das bestas”). È un’immagine fisica (come tutto il cinema di Sorogoyen) che anticipa anche ciò che vedremo sullo schermo: una storia in cui la violenza si insinua, lenta e costante, come un dolore sordo e persistente. Senza (quasi) mai deflagrare in gesti irruenti. Una lunga, sempre più tenace, stretta mortale.

Ed è su questa frequenza che Sorogoyen si sintonizza, lavorando ai fianchi dello spettatore e costruendo un thriller in cui la pressione, la sensazione di soggiogamento, l’attesa di qualcosa di inevitabile non mollano mai la presa.

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È quello che accade alla coppia francese protagonista del film, formata da Antoine e Olga (Denis Ménochet e Marina Foïs, entrambi bravissimi). Da qualche mese si sono trasferiti in un piccolo villaggio della campagna galiziana per coltivare la terra e per restaurare vecchi rustici e ripopolare la zona. Ma la loro origine francese e il fatto che la coppia si opponga alla installazione di pale eoliche (il loro rifiuto, di fatto, blocca, anche per gli altri proprietari, la possibilità di vendere i terreni), li rende invisi alla comunità, soprattutto a una coppia di fratelli che comincia a vessare Antoine, in uno stillicidio di soprusi e minacce più o meno esplicite, mentre la polizia locale tenta di gettare acqua sul fuoco, evitando di schierarsi.

La trama può ricordare il lungometraggio d’esordio di Giorgio Diritti (Il vento fa il suo giro) in cui un pastore francese entrava in collisione con la piccola comunità occitana che lo aveva inizialmente accolto.

Ma, a parte questa suggestione legata allo scontro tra culture e all’essere percepiti come forestieri (qui anche per ragioni storico-politiche), “As Bestas” prende una strada completamente diversa. Non solo perché resta più tenacemente aggrappato ai corpi attraverso uno sguardo materiale che piomba a terra (e nella terra) il cinema di Sorogoyen. Ma anche per quella capacità (che nel film di Diritti è più sfumata) di creare un clima di tensione crescente, estenuante per come non arriva quasi mai a tracimare se non nella sequenza che si riconnette, circolarmente, all’incipit del film.

Pur con qualche impercettibile limite (la complessità delle ragioni dei fratelli è sì spiegata anche se resta netta – e ciò, ovviamente, pure sul piano dello schieramento empatico – la separazione bene/male e buoni/cattivi), “As Bestas” si impone come una delle visioni più interessanti di questo 2023, sia per scrittura che per sguardo registico. (Marco Contino)

Voto: 8

***

AIR – LA STORIA DEL GRANDE SALTO

Regia: Ben Affleck

Cast: Ben Affleck, Matt Damon, Jason Bateman, Marlon Wayans, Chris Messina

Durata: 112’

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Air Jordan, un binomio per Nike che ha monopolizzato il mercato delle scarpe da basket. Il film di Ben Affleck narra la storia della celebre linea di calzature sportive che ha unito la Nike e l'allora semisconosciuto Michael Jordan.

È la storia anche di Sonny Vaccaro, talent scout dei college, chiamato alla Nike per (ri)lanciare il settore basket di un brand che aveva fatto fortuna con il jogging, quindi con i bianchi, “perché i neri non amano correre per far fatica”, mentre Converse e Adidas stavano monopolizzando il mercato.

Nel 1984 Vaccaro decide, contro la stessa governance della casa di Portland (Oregon), di investire tutto il budget in una sorta di outsider, già avviato verso Converse o Adidas, ma che sarebbe poi diventato il più grande, Michael Jordan, quando la giovane stella della pallacanestro giocava con i Chicago Bulls.

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Nacque così la scarpa che avrebbe cambiato il mercato delle calzature sportive, da basket, ma anche delle sneaker, l’Air Jordan: ma nasceva così non solo un modello di scarpa, e di brand, incentrato totalmente su un atleta, ma anche un sistema di diritti e di royalty corrisposti a Jordan per ogni scarpa o capo d’abbigliamento venduti, con cui la madre di Jordan ha distribuito beneficenza, sostegno e aiuti ad atleti meno fortunati e a giovani dei ghetti neri delle città americane, portando la stessa Nike (pronunciata all’americana Niki) a essere il simbolo della cultura afro-sportiva. Una scarpa con un’anima, perché tutte le scarpe sono uguali, «finché non le indossa lui», come ricorda la madre di MJ.

La vicenda è nota, così come la conclusione: basti pensare che la Nike, nata nel 1971, pochi anni dopo queste vicende riuscì a comprare la Converse.

Vale invece la pena di ripercorrere con Ben Affleck questa vicenda, molto americana: il regista e attore qui lascia il genere preferito, il thriller, per costruire una vicenda di squadra. Non si interessa dei successi delle stelle, ma della bassa manovalanza, non guarda e non inquadra mai il vero MJ o il suo attore, ma lo tiene ai margini del parquet, pronto a sganciare la bomba da tre punti, che fu la firma sul contratto di Nike.

Con una abile dose di retorica, ma sapendo anche puntare al cuore della cultura e dell’identità, Affleck delinea con forte senso di nostalgia un’America di quarant’anni fa quando le trattative economiche potevano ancora diventare battaglie di civiltà, quando il fattore umano era ancora importante per scegliere un’azienda più umana rispetto a un’altra multinazionale, magari planetaria, ma più algida. (Michele Gottardi)

Voto: 6.5

***

I PIONIERI

Regia: Luca Scivoletto

Cast: Mattia Bonaventura, Francesco Cilia, Danilo Di Vita, Matilde Sofia Fazio, Claudio Bigagli, Peppino Mazzotta, Lorenza Indovina,

Durata: 86’

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Enrico (Mattia Bonaventura) è cresciuto a pane e comunismo. Il papà (Peppino Mazzotta) è un solerte funzionario del PCI di un piccolo paesino siciliano (una sorta di missionario con la differenza che al partito non crede più nessuno, soprattutto a quelle latitudini); la mamma (Lorenza Indovina) è, invece, una militante più “emozionale”. Sono spesso in disaccordo tranne che sull’educazione di Enrico che sconta sulla propria pelle di dodicenne la cultura della marginalità: no scarpe firmate, no videogiochi né tantomeno Rambo, niente feste da figli di famiglie democristiane.

L’unico amico di Enrico è Renato (Francesco Cilia), un Gramsci in miniatura con il mito dell’URSS. Nell’estate del 1990 i due ragazzi scappano di casa per trascorrere qualche notte in campeggio, nel mito dei “Pionieri”, la gloriosa e ormai estinta squadra scout comunista: a loro si aggiungono Vittorio Romano (Danilo Di Vita), il bullo della scuola, e Margherita (Matilde Sofia Fazio), una ragazzina italoamericana fuggita dal campeggio della base militare di Comiso.

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“I Pionieri”, opera prima di Luca Scivoletto, si pone a metà strada tra il racconto di formazione e l’istantanea, dal sapore autobiografico (il regista è figlio di un funzionario del PCI), di un periodo di contraddizioni e disillusioni (è di quell’anno la famosa “svolta di Occhetto” che cambiò i connotati del partito).

Nel film si respirano suggestioni diverse: da “Cosmonauta” di Susanna Nicchiarelli a “Moonrise Kingdom” di Wes Anderson fino al più recente “Jojo Rabbit” (Enrico dialoga con Berlinguer – interpretato da Claudio Bigagli - sorta di Grillo parlante che funge da guida e instillatore di dubbi).

Nonostante questo, “I pionieri” conserva un proprio sguardo personale, in cui l’emolliente romantico-nostalgico addolcisce una storia in cui lo smarrimento sentimentale di Enrico abbraccia quello più esistenziale di un periodo e di una generazione. La bandiera rossa, alla fine, non trionferà, ma, almeno per un momento, sventolerà sul pennone più alto nel cuore dell’impero capitalista. (Marco Contino)

Voto: 7

***

PASSEGGERI DELLA NOTTE

Regia: Mikhaël Hers

Cast: Charlotte Gainsbourg e Quito Rayon Richter

Durata: 111’

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Regista attento sin dal suo esordio (“Quel giorno d’estate”) all’incrocio drammatico dei sentimenti con le tragedie della vita, Mikhaël Hers traccia una storia molto francese e molto cinefila, arretrando le vicende nella Parigi degli anni ’80, mentre François Mitterand sta vincendo le elezioni che lo porteranno all’Eliseo.

È la storia di Elisabeth (Charlotte Gainsbourg), lasciata di recente dal marito, che si ritrova a occuparsi dei suoi due figli adolescenti, Matthias e Judith (Quito Rayon Richter e Megan Northam). La donna riesce a trovare lavoro in un programma radiofonico notturno. Qui incontra Talulah (Noée Abita), una giovane molto pigra che Elisabeth decide di prendere sotto la sua ala protettrice. È così che grazie a lei, Talulah scopre com'è vivere in una famiglia e Matthias vive la dolcezza del primo amore. Mentre Elisabeth cerca di trovare il suo percorso per realizzarsi, intorno a lei le persone vivono la loro esistenza tanto da portarla a chiedersi se la vita della sua famiglia sia ricominciata finalmente a scorrere come prima dell'addio di suo marito.

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Il titolo viene da una celebre trasmissione radiofonica notturna, "Les choses de la nuit" ("Le cose della notte"), andato in onda su France Inter dal 1976 al 1996 dalla mezzanotte alle 5 del mattino. Ma più in generale fa riferimento ai protagonisti, figure in cerca di un’identità, ombre sfuggenti nella notte dei sentimenti e dell’esistenza, che ogni tanto emergono e poi spariscono, come Talulah, ma anche la stessa Elisabeth.

Il riferimento costante, con tanto di citazioni nei dialoghi e sequenze in sala, è al cinema di Eric Rohmer, evocato da “Le notti della luna piena” e dalla sua sfortunata musa Pascale Ogier. Solo che qui i protagonisti rischiano di soccombere ai sentimenti, senza nemmeno scherzarci su: ma il film non è solo intriso di nostalgia.

Evoca una serie di speranze e di crescite individuali e sociali che poi si sono perse, ma che hanno contraddistinto la via francese all’esistenza negli ultimi 30, 40 anni. Lo sguardo di Charlotte Gainsbourg dall’alto si abbandona a una Parigi ancora suadente, affascinante, piena di mille possibilità di rinascita e di crescita. Forse non è più così: che direbbe Rohmer? (Michele Gottardi)

Voto: 6,5

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