PORDENONE. «Contro che squadra giocate stasera? Potete vincere? Chi è primo, nella vostra Lega?»
Enes Kanter, 30 anni, 211 centimetri di stazza e coraggio, queste domande se l’è sentite rivolgere per anni, durante la carriera in Nba tra Utah, Oklahoma, New York, Portland, Boston e ritorno in Oregon.
Mai avremmo immaginato che fosse lui a rivolgerle a un gruppo di ragazzi di serie C, nello specifico della 3S Cordenons, in un hotel a Pordenone.
Ma la vita a volte è strana per davvero e così, sabato 1 aprile, a due passi dalla stazione della città del Noncello, un ragazzone in t-shirt nera con la scritta “Silence is violence” ha ricevuto in dono dai ragazzi di cui sopra una maglia, anziché essere lui a donarla.
Sopra c’era scritto “Freedom”, libertà, il cognome che Enes ha scelto archiviando per sempre Kanter, i legami con la famiglia, la patria turca, l’Nba, il suo mondo e qualsiasi altra cosa «più piccola di milioni di persone che soffrono, come il popolo degli uiguri torturato dai cinesi».
Ma facciamo un passo indietro. Come siamo arrivati dall’Enes Kanter ambasciatore del basket europeo negli Usa all’Enes Freedom che gira per Pordenone scortato dalla Digos con sopra la testa un cielo sereno e una taglia da 500 mila dollari?
Il dado è stato tratto quando Enes ha deciso di dire basta a Erdogan ma soprattutto alla Cina, denunciandone la violazione dei diritti umani e rescindendo il cordone ombelicale con la Nba, gli sponsor multinazionali che con la Cina hanno legami miliardari e i suoi compagni della lega.
«Una volta tagliato dai Boston Celtics – ha detto – nessuno mi ha più chiamato, sono stato mollato da tutti. Oggi per me il basket è finito, in America come in Europa, per ragioni di sicurezza. Ho provato con Taiwan, ma le pressioni cinesi l’hanno impedito».
Così eccolo a Pordenone, invitato al Docs Fest, un festival sul giornalismo d’inchiesta, a ricevere la targa dei valori dal presidente del Panathlon club Massimo Passeri.
L’amicizia di Giulio Di Lorenzo, la cortesia di Elisa Cozzarini e delle colleghe dello staff, le parole di Riccardo Costantini e gli applausi del pubblico intervenuto a Cinemazero l’hanno fatto sentire, per una volta, a casa.
Merce rara, per Enes, tanto da fargli prendere un aereo a New York, atterrare a Venezia, arrivare a Pordenone («Ma che meravigliosa, piccola città, quanto verde...») e ripartire 24 ore dopo.
Sì, c’è stato spazio anche per riferimenti all’Nba di oggi e di ieri («Gli italiani che ricordo più volentieri? Gentile – esatto, proprio quello dell’Old Wild West Udine – e Melli. Quante sfide, tra Italia e Turchia...»).
Ma il rispetto dei diritti umani e la tutela di libertà e manifestazione del pensiero «sono cose molto più grandi di me e del basket».
E dunque rieccolo a New York, «dove giocano i Knicks, la franchigia che mi è rimasta nel cuore. Per l’ambiente, il Madison Square Garden, l’arena più importante del mondo....».
Ora, però, vive «di tre giorni in tre giorni, non posso restare più a lungo in un Paese. Ma non importa. La libertà non è gratis e io l’ho scoperto e annunciato al momento giusto.
Sono isolato, è vero, ma quando parlo, grazie ai media e alla piattaforma che mi sono creato sui social, mi ascoltano centinaia di migliaia di persone».
Schiacciata in contropiede. L’ultima highlight di Enes Freedom fu Kanter, già leggenda dell’Nba, oggi uomo libero.