TRIESTE “In estate, la routine quotidiana consisteva nel preparare una borsa da spiaggia e trovarsi sulle rocce alle dieci. Io e la mamma sceglievamo quelle più piatte, stendevamo l'asciugamano col disegno di Biancaneve e i Sette Nani e ci mettevamo comode, sdraiate o sedute. Sto parlando di giorni senza vento, quando il mare era quasi uno specchio, senza onde. O solo leggermente increspato. Lampeggiavano piccoli pesci. Applaudivo felice. Non ne avevo mai abbastanza.” In “Il mare che bagna i pensieri” Ilma Rakusa segue le tappe di vita d'una bambina che vanno da una cittadina slovacca fino a Budapest, Lubiana, Trieste e Zurigo. Un'infanzia e una giovinezza vissute negli ex-territori della Mitteleuropa all'epoca in cui, dopo la Seconda Guerra Mondiale, se ne ridefinivano i contorni politico/culturali. Straniera ovunque, Ilma Rakusa si sente a casa nella musica, nella letteratura e nell'essere sempre in viaggio. Le sue memorie sono l'evocazione di ciò che resta di molti luoghi di vita e d'esperienze: suoni, colori, stati d'animo, scene e flash: il paradiso del mare e della costa a Trieste e a Grado, l'incontro con i rituali della Chiesa d'Oriente, i primi anni all'estero a Parigi e nella Leningrado sovietica. Una scrittura, la sua, in cui gli anni '50 e '60 del XX secolo prendono vita nello sguardo prismatico d'una scrittrice straordinaria, che vive come pochi altri all'interno di culture diverse e che ricostruisce le tappe di un'esistenza nomade, a partire dall'infanzia trascorsa sulla riviera di Barcola a Trieste fino alla sua carriera di slavista all'Università di Zurigo. Scrittrice e traduttrice, Rakusa è premiata autrice di poesie e volumi in prosa. Le abbiamo chiesto di parlarci della sua Trieste.
Leggendo il suo bel libro di memorie “l mare che bagna i pensieri” si ha la sensazione che per Lei Trieste sia sinonimo di felicità... Quale è il suo rapporto con Trieste?
Trieste era davvero sinonimo di felicità per me, perché trascorrevo ore meravigliose con mia madre sugli scogli della spiaggia di Barcola. Ho vissuto a Trieste durante la mia infanzia ed ho ricordi molto precisi: nuotare, mangiare gelati, andare al cinema la sera... per una bambina era tutto bello e stimolante. Nella casa in Via San Bortolo avevano un fascino particolare anche le ore riservate al “riposino”, durante le quali non dormivo, ma inventavo storie, e forse sono diventata scrittrice grazie a quelle sieste forzate. Ho conosciuto i lati oscuri della città solo molto più tardi, da adulta. Quindi c'è un capitolo in "Il mare che bagna i pensieri" che tratta i lati oscuri di Trieste: la Risiera di San Sabba, la persecuzione degli ebrei e i partigiani sloveni durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel corso degli anni vi sono tornata spesso, lì ho avuto tanti amici come Reimar Klein e Boris Pahor, per esempio, o ancora Claudio Magris. Amo oltremodo questo luogo, perché è una città d'incredibile ricchezza, multietnica e multilingue.
Cosa l'attrae della Trieste multiconfessionale, delle sue tante chiese in cui si celebrano riti diversi?
Sono stata educata dai miei genitori con uno spirito cosmopolita, e per questo mi piacciono le città che incarnano questo spirito. Tuttavia, Trieste è cambiata molto nel XX secolo, come altre città multietniche dell'Europa centrale. Ho studiato slavistica e ho vissuto un anno a San Pietroburgo. Conosco la liturgia ortodossa e nel mio libro ne paragono i riti a “sacre rappresentazioni teatrali”. Ogni volta che arrivo a Trieste per prima cosa faccio una visita a San Nicolò e a San Spiridione.
Il suo libro vibra del respiro del mare che lei ha ascoltato tra gli scogli di Barcola, del respiro della musica, del respiro dei venti...
Mi manca molto il mare in Svizzera. Il suo odore, il suono della risacca, l'ampio orizzonte. E poi sono cresciuta con la Bora, e anche lei mi manca. Come i migranti, i venti non si possono fermare, sono la metafora del viaggio e quindi anche della vita d'una persona senza radici, come me. Anche l'artista è sempre in viaggio e non deve mai pensare d'aver raggiunto qualcosa, ma seguitare sempre a cercare. La musica è un altro elemento vitale della mia vita. La musica si diffonde nello spazio, è fatta di pause e ha una durata. Tutto ciò si riflette nella mia scrittura, soprattutto nelle mie poesie che lavorano su principi musicali come le assonanze o le allitterazioni. Ed anche Joyce è uno scrittore musicale.
Trieste oltre alla città di Svevo e Saba è anche la città di Joyce, quali ricordi associa all'autore dell'Ulisse?
Ho un legame con Joyce, poiché anche lui ha fatto il viaggio da Trieste a Zurigo. Vivo sullo Zürichberg, molto vicino al cimitero di Fluntern, dove Joyce è sepolto. Vado spesso a piedi alla sua tomba, da sola o con gli amici. La scultura a grandezza naturale mostra Joyce seduto, con le gambe incrociate, un libro sulle ginocchia e una sigaretta nella mano destra. Sembra molto rilassato, spesso parlo con lui. Nel 2014 partecipai a una Trieste Joyce School e fu una esperienza che mi piacque molto. Già dalla prima sera trascorsa in una osmiza sul Carso, la bellezza dei luoghi, le persone, l'atmosfera, ma anche la qualità delle conferenze e della discussione. Mi piaceva anche che ci fossero tanti giovani da ogni parte del mondo. Una bellissima atmosfera in una fantastica città.