È il 6 dicembre 2016 quando il manutentore Damiano Varetto, 38enne di Montegrotto, rimane schiacciato dal coperchio di una tramoggia, un macchinario impiegato per la macinazione di fogli in polietilene sul quale stava eseguendo un intervento di manutenzione nell’azienda di cui era dipendente, la Plastotecnica di Bagnoli.
Due ore più tardi la morte in ospedale a causa dei gravissimi traumi. Non ci sono responsabili per quella tragedia: dalle accuse di cooperazione in omicidio colposo (e per quanto riguarda il datore di lavoro anche di violazione di una serie di norme in materia di sicurezza sul lavoro) sono stati assolti (con la formula “il fatto non sussiste”) l’ingegnere Gianni Nelti, 63enne di Padova, procuratore speciale di Plastotecnica spa, e l’operaio Luca Fabbian, 43enne di San Martino di Venezze (Rovigo).
La pubblica accusa aveva chiesto un anno e due mesi per l’imprenditore, l’assoluzione per il collega della vittima: il primo era difeso dagli avvocati Marco Donà e Pierluigi Tornago; il secondo dal legale Alberto Toniato.
Secondo la ricostruzione emersa dal processo – e indicata nelle motivazioni dal giudice padovano Sara Catani – Varetto e Fabbian, sentito l’allarme, si erano subito diretti nel reparto rigenerazione accorgendosi che usciva del fumo dal macchinario per la macinazione di materiale plastico di scarto.
Il sospetto era di un problema alle cinghie. Tuttavia l’intervento era stato interrotto (non erano state trovate cinghie della giusta lunghezza) e rinviato all’indomani.
Fabbian si era allontanato, mentre Varetto si era chinato verso l’interno del macchinario per una ragione mai chiarita. E forse, in modo del tutto accidentale, aveva azionato la leva per la discesa del coperchio della tramoggia, tenendola premuta con il piede destro. Ha scritto il giudice nella motivazione della sentenza: «A parere del tecnico Spisal (il Servizio di prevenzione sicurezza negli ambienti di lavoro, ndr) non si poteva comprendere per quale motivo Varetto si sporgeva all’interno del macchinario... L’attività di manutenzione avveniva all’esterno della macchina e il collega aveva già provveduto alla pulizia del macchinario stesso ed era andato a cambiarsi perché l’attività era ultimata».
«L’unica cosa che non riusciamo davvero a spiegare è perché il lavoratore era in quella posizione», aveva dichiarato un tecnico Spisal, intervenuto sul posto dopo l’infortunio, quando è stato sentito nel corso di una udienza.
Tecnico che aveva definito il macchinario in buono stato di manutenzione rilevando «una grande attività di formazione in tema di sicurezza da parte della società nei confronti dei dipendenti», ha osservato ancora il giudice, «tanto da sostenere che i manutentori (come Varetto e Fabbian, ndr) fossero stati sottoposti a una formazione ben superiore rispetto ai lavoratori tradizionali del settore».
La famiglia del lavoratore era già uscita di scena dal processo: attraverso la compagnia di assicurazione, l’azienda aveva già versato ai familiari dell’operaio deceduto una somma pari a circa un milione di euro. Spiegano i legali di Plastotecnica: «Per l’azienda questo infortunio è stato una ferita incolmabile che porta a non perdere mai di vista la questione della sicurezza».
