Più di cento persone in provincia di Treviso, ogni giorno, lasciano volontariamente il posto di lavoro. Sempre più spesso, sono dipendenti donna.
Nel corso del 2022 - ultimi dati resi disponibili da Veneto Lavoro - sono stati 41.905 i lavoratori trevigiani che hanno cessato volontariamente il proprio contratto, una media appunto di 114 al giorno contando anche festivi e giorni di ferie, di questi 16.875 erano donne. Un dato che segue quelli relativi alla fuga dei giovani laureati all’estero (più accentuata, nella Marca, rispetto al resto d’Italia) e del progressivo invecchiamento delle imprese (crescono solo i titolari over 50).
I dimissionari trevigiani del 2022 sono, di fatto, raddoppiati rispetto ad alcuni anni pre Covid. I 41.905 del 2022 sono più del doppio rispetto ai 20.910, per esempio, del 2016. Il fenomeno è esploso nel post Covid, passando dai 36.075 contratti cessati volontariamente del 2021 ai 41.905 del 2022.
Cresce l’incidenza delle dimissioni femminili rispetto al totale: le dipendenti donna dimesse nel 2022 sono il 40,27% del totale, a fronte del 38,88% del 2021 e del 38,68% del 2020. La fascia d’età più interessata dalle dimissioni volontarie è quella dai 30 ai 54 anni, con 23.520 dimissioni. Mentre è in calo l’incidenza delle dimissioni nelle fasce d’età 0-29 anni e 55-64 anni.
Le “grandi dimissioni” della Marca sono un fenomeno collegato anche alla disponibilità di posti liberi: secondo Alessandro Minello, economista, anche in provincia di Treviso chi si dimette trova un altro lavoro nel giro di una settimana.
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Il trend è collegato all’inverno demografico: «Il fenomeno delle dimissioni e dell’emigrazione dei talenti all’estero è in atto da tempo» commenta Minello, «ora ce ne accorgiamo di più perché aumenta la quota dei laureati che emigrano e la loro “qualità” professionale, mentre prima si trattava di lavoratori a bassa istruzione. Nel frattempo la miscela esplosiva si è arricchita della denatalità. Avendo meno nascite, abbiamo anche meno giovani che entrano nel mercato del lavoro, il che determina l’invecchiamento sia dell’impresa che dei dipendenti. Questo comporta una carenza di capitale umano ancora più importante perché oggi le sfide del digitale e della sostenibilità richiedono competenze nuove, che dovrebbero avere i giovani. Stiamo invecchiando anagraficamente e dal punto di vista delle competenze. Le dimissioni si spiegano anche con altre ragioni: sono cambiati i valori sottostanti le scelte dei ragazzi. Non si pensa più soltanto a occupazione e salario, ma anche a carriera, flessibilità, tempo di lavoro e non lavoro. C’è anche una certa “allergia” alla gerarchia precostituita, all’estero l’organizzazione è più piatta».
Le dimissioni dei giovani e la fuga all’estero non sono spiegabili quindi soltanto con migliori condizioni lavorative. Nella scelta dei ragazzi incidono anche motivazioni personali legate all’attrattività di un territorio. Non solo nel confronto tra Italia ed estero, ma anche tra Veneto e altre regioni italiane.
«Dobbiamo ricordare che all’estero i contratti a tempo indeterminato non hanno grandi tutele» commenta Minello. «Ad attrarli è soprattutto l’ambiente stimolante, non solo aziendale. Serve un nuovo modello di coinvolgimento dei giovani. Finora abbiamo pensato a trattenerli, ma dobbiamo essere realisti. Sarebbe come dire alle imprese di non esportare. Bisogna dare loro un motivo per tornare. E un motivo per attrarre altri giovani talenti».
A Pieve del Grappa, sulle colline c’è la sede di Cimba Italy, la business school americana che dal 1991 insegna ai professionisti ad assecondare le proprie ispirazioni professionali. Anche se questo presuppone un salto.
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Cristina Turchet, direttrice dei corsi Cimba, chi sono i dimissionari di oggi?
«Sono persone che hanno un desiderio di crescita personale sempre più legato ad un progetto proprio. Sono giovani, ma anche persone che hanno raggiunto posizioni prestigiose in azienda e nonostante questo vogliono altro. Tra questi, molte donne sulla quarantina che hanno già superato la fase di maternità, che mollano la posizione in azienda per diventare professioniste e consulenti. Probabilmente anche il Covid li ha spinti a capire che c’è altro e si stanno reinventando».
Cosa cercano i giovani?
«Cercano affinità di valori tra loro e l’azienda. Oggi forse manca lo strumento contrattuale giusto per questo tipo di cose, ai ragazzi non interessa più il contratto a tempo indeterminato. Loro vogliono entrare e uscire dall’azienda, cercano flessibilità, negli orari, nell’organizzazione. Vogliono poter lavorare da casa, nel modo che ritengono opportuno. È una generazione che è cambiata completamente dal punto di vista mentale rispetto a quelle precedenti. Hanno valori e modalità di proporsi sul mondo del lavoro completamente diverse rispetto al passato. E dall’altra parte le aziende non lo stanno capendo».
Un cambio epocale rispetto alla generazione precedente…
«Chi ha fatto l’Mba 20-30 anni fa ha scelto di rimanere nella grande azienda. Oggi per una questione anagrafica e di mezzi sufficienti possono decidere di dimettersi, prima della pensione, per fare quello che gli piace. È un modello diverso. Chi frequenta un Mba oggi parte già con l’idea di fare quello che vuole, anche i giovanissimi. Alcuni sono già partner di aziende e start-up, sono intraprendenti. Non cercano la grande azienda, sono meno rampanti, ma più desiderosi di realizzare se stessi come persona e non solo come lavoratore».
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Perché le aziende non capiscono questo cambio?
«Perché l’azienda in questo momento è gestita da un’altra generazione e quindi non c’è un incontro. Devi essere un imprenditore illuminato e pronto a capire che ci sono delle esigenze diverse, quindi a meno che non ci siano già dei giovani all’interno che capiscano questa necessità, chi è al comando fatica a capire il concetto che è più importante ottenere risultati che vedere la risorsa in ufficio. Spesso e volentieri chi è a casa lavora più di quello che è in ufficio. Ora stanno un po’ cambiando perché nel momento in cui faticano a trovare personale scendono a compromessi. Tutto funziona meglio se l’azienda è organizzata e orientata ai risultati».
In che modo una scuola come Cimba è parte di questo cambiamento?
«Il percorso fornisce una tale sicurezza nei propri mezzi per cui la persona ha il coraggio di lanciarsi in qualcos’altro. Tra i nostri ex studenti ci sono persone che decidono di cambiare posizione lavorativa, ma anche settore, perfino continente se ritengono sia il momento giusto. Lavoriamo con le neuroscienze per lo sviluppo della leadership in modo da poter offrire gli strumenti per realizzarsi, insegniamo il “be your best”, dare sempre il meglio di sé stessi. Le conoscenze imparate e il networking fanno il resto».