Ha alzato un muro la Corte di Cassazione. E ha confermato la condanna a due anni di carcere (sia pure con la sospensione condizionale della pena) per i genitori di Eleonora Bottaro, la studentessa di Bagnoli morta a 18 anni appena compiuti il 29 agosto 2016 a causa di una leucemia linfoblastica acuta, dopo aver rifiutato la chemioterapia quando era ancora minorenne.
La sentenza è definitiva per Lino Bottaro, 69 anni, e la moglie Rita Benini, 57 che avevano proposto il ricorso. Ricorso rispedito al mittente: è stato ritenuto infondato.
L’accusa contestata? Omicidio colposo per aver cagionato la morte della figlia (che all’inizio della malattia era minorenne), impedendo di fatto la somministrazione di una terapia idonea e manipolando la sua volontà.
È il Natale 2015, Eleonora sta male. Ha febbre alta ed è sempre molto stanca. A febbraio gli esami del sangue: il 10 del mese il verdetto rivela che è stata colpita da leucemia. All’ospedale di Schiavonia i medici non hanno dubbi: è necessaria la chemioterapia.
Il 12 febbraio la ragazza è trasferita nel reparto di Oncoematologia pediatrica dell’Azienda ospedaliera di Padova che conferma la diagnosi.
Tuttavia il 17 del mese i genitori rifiutano il consenso alla chemioterapia. Eppure quella patologia – avevano spiegato i medici ai familiari – avrebbe avuto il 100 per cento di mortalità se non curata con la chemioterapia, l’85 per cento di probabilità di guarigione se trattata.
Ma la coppia risulta seguace delle teorie del medico tedesco Ryke Geerd Hamer, morto alcuni anni fa, fondatore della cosiddetta “Nuova Medicina Germanica”, una teoria basata sul principio che il tumore è frutto di un conflitto psichico.
L’allora direttore dell’Oncoematologia, il professor Giuseppe Basso, informa il Comitato etico dell’Azienda ospedaliera e quest’ultimo il tribunale dei minori che ragazza e famiglia rifiutano le cure previste dai protocolli scientifici.
Il 26 febbraio i giudici minorili ordinano di tenere la paziente sotto stretta osservazione sospendendo la responsabilità genitoriale. Troppo tardi.
Un’ora e mezza prima che il provvedimento fosse notificato, mamma e papà firmano le dimissioni volontarie per conto della figlia.
Eleonora si trasferisce in una clinica a Bellinzona, in Svizzera. Anche lì secco il “no” alle terapie della scienza tanto che poi i genitori sceglieranno il ricovero, sempre in terra elvetica, nella clinica olistica “Paracelsus”, dove si applicano trattamenti naturali.
La ragazza torna a casa il 31 luglio, ormai malata terminale. Muore il 29 agosto, 15 giorni dopo aver compiuto 18 anni (era nata il 14 del mese).
I genitori finiscono sotto inchiesta: avevano definito la malattia una sorta di rigenerazione cellulare. E l’avevano attribuita a un trauma scolastico che, insieme alla scomparsa del fratello (Luca, morto 22enne il 16 febbraio 2013 per un aneurisma cerebrale mentre sciava), avrebbe alterato nella figlia l’equilibrio interiore.
Eleonora si era “curata” solo con vitamine e cortisone. Una “non scelta terapeutica”, secondo il procuratore aggiunto padovano Valeria Sanzari che, conclusa l’inchiesta, contesta ai Bottaro il reato di omicidio colposo aggravato, accusandoli di «aver fornito» alla figlia «una falsa rappresentazione della realtà sia con riferimento alla gravità e mortalità della patologia, sia all’idoneità e all’adeguatezza dei rimedi da loro proposti, riconducibili alla Nuova medicina di Ryke Geerd Hamer... rimedi privi di validità scientifica e idoneità terapeutica».
Il difensore della coppia (l’avvocata Raffaella Giacomin) sposta il problema sulla libertà di scelta di un individuo, in particolare di una “giovane adulta”, nel caso di Eleonora, pronta a misurare ogni scelta compreso il rifiuto della chemioterapia.
L’1 dicembre 2017 il gup proscioglie i genitori all’insegna del principio della libertà di scelta da parte di una giovane alla soglia della maggiore età.
La sentenza è impugnata dal procuratore Sanzari sulla base del presupposto che il consenso del paziente dev’essere informato, libero e consapevole.
La Corte d’appello accoglie quella lettura e annulla la sentenza. Il 20 giugno 2019 il giudice di Padova (primo grado) condanna i genitori a due anni con la condizionale: la volontà della figlia era stata viziata a monte dai “consigli” di mamma e papà, contrari alla chemio e legati a posizioni antiscientifiche al punto da filtrare le informazioni e impedire un libero dialogo con i medici.
La Corte d’appello conferma la pronuncia, impugnata dai genitori con un ricorso in Cassazione. Un ricorso bocciato dai giudici del terzo e ultimo grado di giudizio. —