VIGEVANO. Il testamento che destinava alla parrocchia di Cilavegna l’eredità da 6 milioni di euro di Franca Rosa Lino, morta nel 2018 a Vigevano all’età di 95 anni, è nullo. Lo ha stabilito una sentenza dei giudici civili del tribunale di Pavia, che hanno accolto la richiesta di alcuni beneficiari che comparivano in un primo testamento. Per il collegio dei giudici della terza sezione civile presieduto da Simona Caterbi il secondo testamento, pubblicato subito dopo la morte della donna e a distanza di tre mesi dal primo, sarebbe stato «alterato dalla mano di un terzo soggetto, quantomeno nella data».
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«Non sono le sue volontà»
In altre parole il testamento con cui tutta l’eredità, composta da denaro, polizze, case e terreni andava alla parrocchia dei Santi Pietro e Paolo Apostoli di Cilavegna «non corrisponde alle ultime volontà della defunta», che aveva lasciato i suoi averi a una serie di enti, tra cui l’ospedale di Vigevano, la Croce Rossa e l’Azzurra, sia di Vigevano che di Mortara, l’istituto De Rodolfi e alcune strutture per anziani, tra le quali Casa Serena.
Nel primo testamento, lungo diverse pagine manoscritte, comparivano anche una serie di privati, tra cui un avvocato e tre amiche a cui la donna aveva voluto lasciare una parte dell’eredità. È stata una di queste (rappresentata dall’avvocato Michele Catarozzo) a fare causa, chiedendo al tribunale di verificare la genuinità del secondo testamento, e altri enti si sono costituiti in giudizio. Alla fine i giudici, oltre a stabilire la nullità del testamento, hanno condannato la parrocchia a risarcire ad alcuni beneficiari circa 70mila euro di spese legali.
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I due testamenti
La sentenza ricostruisce le tappe della vicenda. La donna, originaria di Cilavegna ma che si era trasferita a Vigevano diversi anni prima di morire, ha accumulato in vita un patrimonio consistente, ereditato a sua volta e solo in parte frutto del suo lavoro di impiegata.
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Il 16 marzo del 2015 la donna sottoscrive un primo testamento olografo (cioè redatto di suo pugno) con l’assistenza di un notaio di Vigevano. Come beneficiari vengono indicati la sorella, vari enti e amici.
Per ciascuno di questi la donna indica la parte del lascito, aggiungendo alcune altre volontà, come, ad esempio, che la casa di proprietà in cui lei ha vissuto negli ultimi anni sia destinata al De Rodolfi «con l’onere di provvedere a istituire un ricovero per anziani o, in alternativa, un asilo per bambini o una casa di cura per i poveri», da dedicare alla memoria del figlio della donna, deceduto diversi anni prima. La donna muore a luglio del 2018 e alcuni mesi dopo, insieme a questo testamento, ne compare un secondo, fatto pubblicare dal parroco di Cilavegna, don Paolo Villaraggia. Porta la data del 13 aprile 2015 ed è costituito da una sola riga: «Io Lino Franca Rosa lascio tutto alla parrocchiale chiesa di Cilavegna».
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Il giallo del “postino”
Per approfondire la natura di questo secondo testamento olografo i giudici dispongono un perizia grafologica, che non esclude del tutto la possibilità che la firma sia davvero della defunta, ma riscontra anomalie nella data del secondo testamento, forse modificata nell’anno “2015” e in particolare nell’ultimo numero.
Ma i giudici arrivano alla conclusione di annullare il documento soprattutto per alcune testimonianze, da cui è emerso che la donna non aveva alcun rapporto con la parrocchia di Cilavegna e che non andava neppure in chiesa. Al contrario, secondo quanto ricostruito in udienza, la donna aveva stretto relazioni con diverse persone menzionate nel primo testamento.
Tra i testimoni sentiti dai giudici c’è un certo Vincenzo Zullo, fabbro a Vigevano, che aveva fatto da “postino”, cioè, a suo dire, aveva consegnato il foglietto manoscritto dalla donna alla parrocchia di Cilavegna. L’uomo, sentito dai giudici, ha spiegato di essere un amico della donna e che frequentava spesso la sua casa a Vigevano. Sarebbe stata proprio l’anziana a consegnargli il foglietto, quando era ricoverata a Casa Serena. L’uomo ha dichiarato di avere conservato quel documento, piegato in quattro parti, all’interno del portafogli e di averlo “sempre avuto con me”, fino alla morte dell’anziana, quando lo avrebbe consegnato alla parrocchia.
L’uomo, però, non ha saputo indicare con precisione a chi lo abbia consegnato. «Presumo che fosse il parroco, io ho detto che dovevo consegnare quel foglio al parroco e lui se l’è preso, presumo che chi abitasse lì fosse il parroco». Una testimonianza, per i giudici, piena di contraddizioni.
Case, soldi e polizze: vicini ed enti benefici tra i destinatari
Due polizze del valore di 780mila euro alla sorella e mezzo milione di euro distribuito tra le amiche e alcune persone che l’avevano sostenuta in vita. Ma nel primo testamento, quello ritenuto valido dai giudici, compaiono tra i beneficiari, anche vari enti, come Casa Serena, a cui la donna aveva lasciato 200mila euro. La stessa cifra era stata destinata alla Caritas di Vigevano, mentre 100mila euro alla Croce Rossa di Vigevano e Cilavegna e alla Croce Azzurra di Vigevano. Al Comune di Cilavegna la donna aveva lasciato 53 pertiche di terreni tra Gravellona, Borgo Lavezzaro e Cilavegna, e l’abitazione di Cilavegna in via Dante ai vicini di casa, l’abitazione di via Verdi a Vigevano alla casa di riposo De Rodolfi «con l’onere di provvedere ad istituire un ricovero per anziani o, in alternativa, un asilo per bambini o una casa di cura per i poveri» da dedicare alla memoria del figlio, la proprietà di corso Torino a Vigevano all’ospedale civile, ai frati cappuccini 30mila euro per le opere di carità e una parte del denaro sui conti correnti alla Lega del Filo d’Oro.