«Sono inquadrata con il contratto di lavoro applicato dai faraoni per costruire le piramidi». Irene Pivetti scherza, parlando della durezza del suo impiego attuale nel ristorante e cooperativa sociale Smack, a Monza. Mille euro (e spiccioli) al mese, orario dalle 7 e 30 alle 23. «Fino a non molto tempo fa iniziavo alle 6 e 30. Per un periodo ho persino dormito su una branda nei locali della cooperativa: troppo complicato andare e venire dalla mia microcasa di Milano. Non ho la macchina, un’ora e mezza di mezzi pubblici non sono una passeggiata. Li prendo tuttora, ma faccio orari più umani».
L’ex presidente della Camera (lo è stata dal 16 aprile 1994 all’8 maggio 1996: venne nominata a 31 anni), l’ex regina della tv trash e trasgressiva, l’ex leghista che ha rotto con il suo creatore Umberto Bossi (una coppia politica curiosa, lui sigaro e canottiera, lei tailleurini color pesca o pervinca), divorziata da Alberto Brambilla, due figli grandi, nonna di due nipoti, nella mensa sociale fa un po’ di tutto, dalla cassa al servizio ai tavoli. Alla soglia dei 60 anni, che festeggerà in cooperativa il 4 aprile, Irene Pivetti è una donna in apparenza serena.
Dicono che si sia ritirata qui, umile tra i disagiati e i poveri, per impietosire i giudici: lei è rinviata a giudizio per evasione fiscale e riciclaggio. Il 13 giugno ci sarà la prima udienza, a Milano.
Il 13 giugno si esce dai romanzi d’avventura e si entra nella realtà. In istruttoria, si sono permessi di dire enormità calunniose: smonterò ogni loro riga. Dovranno ammettere che la loro idea di stato è il Leviatano onnipotente che stritola ciò che incontra, senza dover rendere conto del male che fa. Quando si viene esibiti sulla stampa è condannati prima di ogni giudizio. Sono finita nel tritacarne perché ho importato dalla Cina, senza scopo di lucro, mascherine per 30 milioni di euro, non ritenute a norma. E perché, in contemporanea, è stata distorta a operazione di malaffare un’attività professionale da me svolta, sempre con la Cina: la vendita a una grande azienda di un progetto che coinvolgeva un team Ferrari. Chiedo che facciano la «Tac» della mia attività, ma la facciano a tutti.
Vede un disegno persecutorio nei suoi confronti?
Vorrei capire a chi ha fatto gioco il comportamento dell’Italia durante il Covid. Il nostro Paese è stato commissariato sotto il «facente funzione» Giuseppe Conte, al quale è seguito Mario Draghi, che non ha cambiato nulla. Per due anni abbiamo subìto una gestione totalmente opaca nella parte sanitaria dell’emergenza, con il parlamento esautorato. Colpa dei governi in carica.
E adesso?
Ora ci siamo dimenticati del Covid, è stato rimosso il lutto, come dopo tutte le guerre. I danni sono fatti, non solo per la gente che è stata ammazzata, ma per le centinaia di aziende distrutte. L’Italia ne è uscita pesta, con la medaglietta sul petto per essere stata quella che avrebbe gestito meglio l’emergenza, invece ci siamo immiseriti. Lo vedo a Monza, città benestante, con tanta povertà occulta e aziende falcidiate. Qualcuno dovrà rendere conto di tutto questo. La prima vittima della pandemia è stata la verità.
La vis polemica non le manca: perché ha lasciato la politica?
Pensavo da Cincinnato: cessato l’incarico è bene farsi da parte. Senza calcolare che politica non è solo servizio, è una professione che richiede continuità. Cacciata dalla Lega per diversità di vedute, sono rimasta in Parlamento altri cinque anni, ma non ho voluto rivendermi a qualcun altro. Quando Giorgia Meloni era candidata sindaco a Roma, nel 2016, le ho dato una mano, nella lista con Salvini. Poi mi sono candidata nel Nord-est come indipendente in Forza Italia, nel 2019, unico collegio in cui il partito di Berlusconi era davanti a Fratelli d’Italia.
E ora più niente...
È politica anche la mia vita di oggi. Qui non c’è tregua, da mattina a sera, casi umani uno via l’altro. Un format che si sta replicando in altre parti d’Italia. Lasagne, tortellini, dama, scacchi, calciobalilla, bar, 150 coperti a pranzo e a cena, musica live, 10 euro a pasto. Teniamo questo prezzo perché gli stipendi sono bassi e ovviamente non c’è margine.
Cosa pensa del governo attuale?
Che è serio e responsabile. Sta prendendo decisioni scomode, tutte necessarie, e risalendo la china infernale dove era stata buttata l’Italia. Un papa disse che la Chiesa è un ospedale da campo, cura le ferite dei fedeli. Mi pare lo sia anche il governo, gli italiani ne hanno ferite da curare.
Si è complimentata con Meloni? La considererà pioniera dell’affermazione femminile.
Le ho mandato le congratulazioni per l’insediamento, mi ha risposto in modo cordiale. Ma dobbiamo restare distanti, io sono infetta.
Infetta?
Sì, infetta, ho una malattia giudiziaria addosso. Per tutela di Meloni voglio starle lontano, la vicenda in cui sono finita è una macchina di morte che fa bene a non toccare.
Dal 4 aprile, tagliato il traguardo dei 60 anni, ai mille euro di stipendio se ne aggiungeranno 6 o 7 mila mensili per il vitalizio maturato. Sarà ricca?
Escogiteranno qualcosa per togliermelo, il vitalizio. Ma non cambia nulla. Continuerò in ogni caso a lavorare qui.
Ha nostalgia della televisione?
L’ho fatta volentieri, spinta da Maurizio Costanzo, l’uomo che ha inventato una grammatica televisiva. Non mi vergogno dei miei programmi, ogni contesto ha un suo linguaggio, sia pure il corpetto di gomma fetish con cui finii sulle copertine. Quella mia tv non piaceva ai critici.
Aldo Grasso non le perdonava nulla. E Vittorio Sgarbi l’aveva presa di mira. Perché?
Sgarbi in privato si comportava in modo cameratesco, ma appena poteva tra noi due era un bel match. Te la prendi con un bersaglio grosso e fai cassetta. Non è che lo temessi, ma lui ha il suo stile: tirare il fango in faccia ad altri non mi piaceva. Ho sempre evitato la volgarità.
Parteciperebbe ancora a Ballando con le Stelle?
Ero arrivata in finale, bella esperienza. Non conoscevo il rigore, dietro i lustrini, dei professionisti del ballo. Mi costò moltissimo partecipare, avevo i bambini piccoli, mi veniva il magone a lasciarli a casa.
Ma tornerebbe a ballare?
Mai dire mai, ma non mi faccia dire che sogno di tornare a esibirmi da Milly Carlucci. Se ho un desiderio, è buttarmi con il paracadute. Prima o poi lo farò. O tornare in Cina, ci sono stata almeno 60 volte, è un Paese di cui conosciamo pochissimo.
Parliamo di papi. Ha detto di aver ricevuto una grazia da Giovanni Paolo II, ma di Francesco che pensa?
L’ho incontrato di recente, tre secondi, a un’udienza generale. Non esprimo giudizi: sarebbe come se la formica parlasse dell’elefante. Credo abbia acquistato forza e profondità da Benedetto XVI, che si è offerto in olocausto per la Chiesa. Amo quando la Chiesa indica la verità. Bello il dialogo, ma più importante ricordare chi siamo. Se non sappiamo di sale, non sappiamo di niente.
Tiene sempre il rosario con sé?
Certo, lo recito tutti i giorni. Non è una zampa di coniglio portafortuna, ma uno strumento potente: sgranarlo è come salire su un’astronave e raggiungere l’iperspazio.
Vive da divorziata. Strano, per una cattolica dura e pura.
Ho divorziato civilmente da Alberto Brambilla dopo tanti anni di separazione. Ma davanti a Dio resto sposata. Il mio matrimonio ha fatto un brutto incidente d’auto, ecco. Il sacramento del matrimonio continua a essere efficace, non mi è stato tolto, ha cambiato forma. Non ho alcun compagno, sto bene così. Sono ricca di amici, non repressa.
Parliamo di Ucraina.
Mi sento vicina a chi, non solo tra i cattolici, non si arrende al fatto che debbano parlare solo le armi.
Ricorda il generale Franco Angioni?
Con il nostro contingente in Libano venne apprezzato nel mondo come costruttore di pace. Inventò il peacekeeping. Oggi, se prendi le distanze da coloro che vogliono mandare in Ucraina armi su armi, ti mettono tra i putiniani. Lo ha fatto il Corriere della Sera, con due pagine segnaletiche che ne tradivano la reputazione di quotidiano sopra le parti.
Di Elly Schlein che ne pensa?
Ideologicamente è il mio opposto. Ma mi dissocio dai commenti feroci, sessisti e antisemiti con cui l’attaccano.