GORIZIA. «Ma ce ne sono ancora? E ancora funzionano? E con cosa? Con i gettoni o con le schede?». Ai giardini pubblici di Gorizia, a chiederselo è una signora. È stupita di quell’improvvisa apparizione urbana chiamata telefono pubblico. Lui se ne sta lì da tempo ormai immemore; sta al suo posto, all’angolo tra corso Verdi e via Alighieri, e la gente gli passa accanto senza neppure accorgersene. La gente lo vede soltanto se qualcuno – come nel caso della signora – lo fa notare sottolineandone la presenza. I telefoni pubblici sono ormai diventati una sorta di sfondo invisibile della città e quello dei giardini pubblici è reso ancora più invisibile dal fatto che davanti a sé ha una rastrelliera per biciclette che, di fatto, lo rende anche inutilizzabile.
Con sorpresa di molti, i telefoni pubblici esistono ancora, e funzionano con un po’ di tutto: con le monete, con le tessere pre-pagate e anche con quello strano bottone che permette di farsi richiamare come accadeva nei film americani di una volta. Con 20 centesimi si possono mandare anche una mail o un fax e con la metà della cifra si può inviare un sms. A mancare sono solo i vecchi e cari gettoni, ignoti alle giovani generazioni che, grazie agli smartphone, non hanno mai avuto il problema di trovare una cabina per avvisare a casa di un contrattempo improvviso o per chiamare la fidanzatina o il fidanzatino del momento rischiando di dover prima parlare con uno dei genitori di lei o di lui.
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Secondo Telecom Italia nell’Isontino resistono ancora 96 telefoni pubblici. Gorizia ne conterebbe 25, Monfalcone 20, Gradisca d’Isonzo e Grado 15, Ronchi dei Legionari 7, Cormons e Staranzano 3, Romans d’Isonzo 2, Mariano del Friuli, Moraro, Savogna d’Isonzo, Sagrado, Fogliano Redipuglia e San Canzian d’Isonzo solo uno. Il condizionale è d’obbligo perché il conto non viene aggiornato in tempo reale. Per esempio, nella lista di Gorizia compare un telefono pubblico in piazza De Amicis 3. Viene precisato che si tratta di un esercizio commerciale. Al civico indicato c’è il bar pasticceria “Scorianz” e alla richiesta di poterlo utilizzare, al bancone rimangono tutti sorpresi. Sgranano gli occhi come se ad entrare fosse stato un extraterrestre: «Il telefono non c’è più da almeno 10 anni, ma forse sono ancora di più», dicono senza ricordare esattamente quando è stato eliminato quell’oggetto di modernariato che si trovava ancorato alla parete sul retro del locale. «Ormai tutti hanno in tasca un cellulare e se proprio capita qualcuno che abbia bisogno di fare una telefonata per chiamare un taxi, chiamiamo noi con il nostro telefono».
Uno degli avventori dopo essersi ripreso dallo shock della domanda e aver fatto in fretta mente locale aggiunge: «La cabina di via Alviano viene usata dai richiedenti asilo per dormire. Per terra ci sono dei cartoni e appesa alla porta c’è una coperta di quelle che si usavano quando si faceva il militare. Una volta, dentro, ne ho visti dormire quattro uno accanto all’altro: stavano stretti in piedi e la polizia non sapeva cosa fare».
La cabina di via Alviano è forse quella che si presenta in condizioni peggiori, ma sollevando la cornetta la linea c’è, come c’è in quasi tutti gli altri telefoni della città. A non funzionare è uno dei due presenti al piano terra dell’ospedale di via Fatebenefratelli. Entrando i due apparecchi pubblici si trovano un dopo l’altro sulla destra e il primo è muto. Pochi metri più in là c’è però il secondo, e funziona. A funzionare, nonostante i vetri della cabina danneggiati, è anche il telefono di via Brigata Casale. Il più sporco è quello vicino alla chiesa dei Cappuccini.
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Rispetto alla lista pubblicata sul sito di Telecom Italia mancano all’appello i tre telefoni della stazione ferroviaria e anche uno di quelli di via Vittorio Veneto.
Sulla cornetta dell’apparecchio all’inizio di corso Italia una persona dotata di spirito ha scritto con il pennarello nero l’esortazione “Chiamala” aggiungendo un bel cuore. Per chi ha vissuto gli anni Ottanta l’associazione mentale è con lo spot pubblicitario sulla teleselezione di quella che allora si chiamava ancora Sip. Una giovane Yvonne Sciò, parlando con il fidanzato all’altro capo del filo, chiedeva: «Ma mi ami? Ma quanto mi ami? Ma mi pensi? Ma quanto mi pensi?» e la madre rispondeva alle sue spalle: «Ma quanto mi costi?» perché, allora, le tariffe fisse non esistevano. Ogni telefonata aveva un costo in base al numero degli “scatti” fatti e alla distanza del destinatario della chiamata.
Parlare di “scatti” e di “scatti alla risposta”, alla luce delle tariffe flat o all inclusive di oggi, sembra anacronistico, ma i telefoni pubblici funzionano ancora a “scatti”. Il costo di ciascuno scatto è di 10 centesimi e in base alle tariffe in vigore dal 1° giugno 2016, per chiamare un cellulare gli scatti alla risposta sono due e il ritmo di tassazione è di uno scatto ogni 11,8 secondi. Per le chiamate ai telefoni fissi, il numero di scatti alla risposta e il ritmo di tassazione cambia a seconda che si utilizzino schede prepagate standard o monete (e con le monete la telefonata costa di più perché il ritmo degli scatti è più rapido) o che si chiami in un giorno feriale piuttosto che in uno festivo (l’ultimo costa di meno). Insomma, utilizzare un telefono pubblico permette ancora di fare un viaggio nel passato, anche se non si utilizza più il gettone da 200 lire. E poi per i fan dei fumetti entrare in una cabina telefonica fa sempre pensare a Clark Kent che si trasforma in Superman. Insomma, è una cosa da supereroi, altro che tappezzeria urbana.