Il termine “Centro di raccolta” nasce nel Secondo dopoguerra, quando 350mila persone abbandonano la Venezia Giulia non più italiana per fare il loro ingresso in 120 centri che in tutta la Penisola accolgono la massa di famiglie senza casa, lavoro e assistenza. Emblematica è la descrizione dei testimoni del tempo che raccontano di spazi “segnati dalla precarietà, dove interi nuclei familiari vivono in box di pochi metri quadrati separati gli uni dagli altri da coperte, lenzuola o, nei casi più fortunati, da semplici barriere di compensato. Una promiscuità che porta i profughi a vivere in una condizione di costante incertezza scandita dalla mancanza di spazi intimi e personali e dall’isolamento dal contesto cittadino. Luoghi che finiscono per essere un mondo a parte, totalmente estraneo al resto della città, dove la quotidianità è scandita da ritmi, tempi e regole proprie”.
Se a Latina oggi si entra nello spazio espositivo dell’ex Rossi Sud, lungo via dei Monti Lepini, si farà un passo indietro nella storia. Un grigio imponente capannone collocato nell’area industriale, con all’interno famiglie, la cui intimità è racchiusa in box di fortuna di 14 mq realizzati da pannelli metallici residui di campagne elettorali. Si cucina utilizzando pericolose bombole del gas, i pochi bagni sono spesso allagati, non c’è acqua calda per lavare i neonati e il riscaldamento da due settimane è andato in blocco. Quando si entra l’unica domanda che si solleva è: “Ancora per quanto staremo qui?”.
Tutto nasce il 2 luglio scorso, quando un incendio distrugge l’insediamento di Al Karama dove da vent’anni vivono più di cento persone, braccianti agricoli rumeni con le loro famiglie. A Latina li hanno sempre identificati come “rom” – quindi più che logico che questa sia la loro naturale collocazione. Dopo l’incendio il sindaco, con ordinanza “contingibile e urgente”, aveva provvisoriamente deciso di collocarli dentro un capannone dell’ex Rossi Sud. Qualche settimana dopo, con la caduta della Giunta, è stato nominato un Commissario prefettizio, che come prima cosa ha deciso di rispolverare un vecchio protocollo della passata Amministrazione che prevedeva, in accordo con la Regione Lazio, la realizzazione di un nuovo campo rom. Un’assurdità visto che da almeno cinque anni in Italia a nessuno viene più in mente di realizzare spazi di questa forma: costosissimi e lesivi dei diritti umani.
Il nuovo campo rappresenta per il Commissario la futura soluzione abitativa per le famiglie che da 8 mesi bivaccano nel gelido capannone industriale. All’emergenza del falò del 2 luglio, si sussegue oggi quella del “Centro di Raccolta Rom” dell’ex Rossi Sud, in attesa dell’emergenza che si sta costruendo nel cantiere dove sorgerà il nuovo campo rom. Ancora una volta riemerge l’antica regola che con “Mafia Capitale” aveva fatto la sua irruzione nel dibattito pubblico: spostare i rom significa muovere denaro e quando si muove denaro c’è sempre qualcuno che guadagna. Legittimamente o illegittimamente.
Oggi nell’ex Rossi Sud sono accampate 78 persone, di cui la metà minori. La loro accoglienza fatta di assurdi catering, di utenze salatissime, di spostamenti organizzati per portare i bambini a scuola e gli adulti al lavoro costa alla collettività circa 100mila euro al mese. Tra due mesi si arriverà al milione di euro. Poi seguirà il trasferimento nel nuovo campo, per il quale si sono già impegnati 650mila euro. Un insediamento che andrà mantenuto attivando altri infiniti rivoli di soldi pubblici.
E così, alla fine della fiera, il Commissario prefettizio, chiamato anzitutto a salvare dal dissesto il bilancio comunale scegliendo l’approccio emergenziale, prima di lasciare l’incarico con l’elezione del nuovo sindaco avrà creato un nuovo buco nero nei conti del capoluogo pontino. Nessuno oggi a Latina è d’accordo con le decisioni assunte dal Commissario, eppure non c’è dibattito pubblico, non ci sono movimenti organizzati a difesa dei diritti, deboli le spinte a favore della legalità e della trasparenza. A Latina oggi si sconta un pauroso deficit di democrazia perché dove c’è un Commissario nominato dal governo, dove uno stato di emergenza diventa permanente, dove il “nomadismo” dei rom muove interessi, il livello di civiltà precipita e il bene comune diventa una chimera. Mentre nel Centro di Raccolta Rom dell’ex Rossi sud, il luogo dove ha preso forma una nuova marginalità sociale che dal dopoguerra pensavamo di non rivedere, si continua a vivere, a battere i denti e a sperare. Magari anche nel nuovo campo, perché “Qualsiasi posto è comunque meglio di questo!”.
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