«Task Force Lupi - Interrompere contatto con forze nemiche lungo la linea Thorland. Utilizzare fuoco indiretto e armi anticarro» è l’ordine in inglese che arriva in piena notte nell’infinito bianco dell’Artico. «Iniziare movimento alle 02.30 lungo il percorso Drakkar. Entro le 06.00 proteggere il terreno chiave “Roccaforte romana”. Ricevuto? Passo». Gli alpini del Terzo reggimento di Pinerolo devono sganciarsi dai «russi» nella simulazione dell’esercitazione Cold Response, che ha impegnato 30 mila uomini della Nato un paio di settimane dopo l’invasione, vera, dell’Ucraina. Una bufera di neve a - 20 gradi riduce la visibilità a pochi centimetri e le penne nere devono percorrere a tappe forzate 40 chilometri per salvare lo schieramento.
«La fase “combat” di 10 giorni al Circolo polare artico è stata durissima. I cingolati speciali BV 206 S7 per i terreni ghiacciati erano la nostra casa, ma bisognava scavare postazioni e bivacchi nella neve» racconta il tenente colonnello Fortunato Sion, che ha guidato i 250 alpini della brigata Taurinense, unità dell’esercito con capacità artica, nel deserto bianco. Gli americani hanno già soprannominato il Circolo polare la «nuova cortina di ghiaccio» con i russi, che stanno riaprendo basi, rafforzando truppe e flotte all’estremo Nord.
La posta in gioco sono le nuove rotte marittime aperte con lo scioglimento dei ghiacci, dettato dal cambiamento climatico, e un tesoro energetico e minerario del sottosuolo stimato in 20 trilioni di dollari. «Per sopravvivere a simili latitudini devi costruire con la neve le “trune” con il tetto fatto dagli sci. O le “tani di volpe”, buche che riparano al massimo due militari. All’interno accendiamo dei ceri con i lumini del cimitero per alzare la temperatura di un paio di gradi» dice l’ufficiale che ora comanda gli alpini dispiegati in Ungheria per la guerra in Ucraina.
La brigata Taurinense, comandata dal generale Nicola Piasente, si addestra al combattimento in climi artici, altro fronte di attrito con i russi. Alpino paracadutista, veterano delle missioni all’estero più dure, come l’Afghanistan, dal comando di Torino l’ufficiale ha spiegato alla stampa locale che d’inverno «il corso Mountain warfare dura 4 settimane. Le prove di movimento e tiro in quota, superamento pareti, attraversamento di crepacci e pernottamento all’addiaccio si svolgono sui 2 mila metri di quota, con neve abbondante e temperature rigide, inferiori talvolta ai 20 gradi sotto zero».
Per questo gli alpini faranno parte della futura brigata artica dell’Alleanza atlantica assieme a unità francesi e tedesche. Una fonte della Difesa osserva «che nel periodo post-guerra fredda l’attenzione sull’Artico era scesa, ma si è rialzata dopo l’annessione della Crimea e l’attrito è sempre più forte adesso con il conflitto in Ucraina». Durante l’esercitazione Cold Response il comando delle forze anfibie era a bordo dell’incrociatore porta aeromobili Garibaldi con il controammiraglio Valentino Rinaldi. «L’area è di interesse strategico» spiega il comandante della Terza divisione navale a Brindisi. «È prevista la partecipazione dell’Italia anche alla prossima esercitazione nell’Artico, nel 2024, che si chiamerà Nordic Response».
Il 10 gennaio il ministero della Difesa russo ha pubblicato alcune immagini della fregata Admiral Gorshkov, nel mare di Norvegia a ridosso dell’Artico, armata con i missili ipersonici Zircon. Vladimir Putin vuole impiegare la nuova arma, quasi impossibile da intercettare, per colpire l’Ucraina. La Russia ha 11 sottomarini con capacità nucleari a lunga gittata, 8 sono di stanza nella penisola artica di Kola. Un terzo dell’Artico è russo e Mosca, dopo la Guerra fredda, ha riattivato una ventina di basi e stazioni radar realizzandone di nuove. Nel 2017 Putin e il ministro della Difesa, Sergej Šojgu, hanno inaugurato la più importante (14 mila metri quadrati): il «Trifoglio artico», che assomiglia a una base spaziale con i colori della bandiera russa.
Per Mosca le ricchezze polari, stimate in due trilioni di dollari, rappresentano il 60 per cento del prodotto interno nazionale. L’Artico nasconde nel sottosuolo il 40 per cento delle riserve mondiali di petrolio e gas. In Groenlandia ci sono, ancora da esplorare, terre rare, giacimenti di uranio, rubini, diamanti, oro. Lo scioglimento dei ghiacci, con l’apice previsto per il 2050, comporterà un preoccupante innalzamento dei mari, ma in parallelo l’apertura totale di nuove rotte marittime, con tempi di transito ridotti di circa 14-20 giorni rispetto a quelle classiche attraverso gli stretti di Suez e Panama per i traffici Est-Ovest. Un obiettivo strategico cruciale per russi e cinesi.
Gli esperti dell’Artico sono concordi nel sostenere che ci vorranno 10 anni agli Stati Uniti per equilibrare militarmente la Russia nell’estremo Nord. L’unità di misura (e di forza) sono anche i rompighiaccio: Mosca ne conta 37, compresi 7 a propulsione nucleare e gli Usa appena tre. La base di Thule è l’avamposto polare a stelle e strisce, ma anche Stati europei come Norvegia, Finlandia, Danimarca, Svezia puntano a rafforzarsi militarmente sul fronte dei ghiacci. Il Consiglio Artico, formato dalle nazioni che si affacciano sull’area, compresa la Russia (e con l’Italia come osservatore dal 2013), si è sciolto a causa dell’invasione dell’Ucraina.
La Danimarca ha stanziato 200 milioni di dollari per migliorare le sue capacità tra i ghiacci grazie a satelliti e droni di sorveglianza. E per di più ha riaperto una stazione radar della Guerra fredda sulle isole Faroe, tra Regno Unito e Islanda. Le forze speciali americane hanno intanto testato in Norvegia, non lontano dal confine russo, il lancio da un semplice aereo cargo C-130 di un particolare pallet con un missile da crociera Cruise, che viene lanciato quando scende verso terra con il paracadute. La guerra delle spie nel Nord Europa, alimentata dalla crisi ucraina, è emersa con casi clamorosi: il 24 ottobre è stato arrestato un ricercatore dell’Università norvegese di Tromsø sul Circolo polare artico, agente sotto copertura dei russi da anni. Mosca parla di «isteria», ma sette russi sono finiti in manette mentre facevano volare alcuni droni in zone con obiettivi sensibili. Fra questi, Andrey Yakunin, il figlio di un oligarca da lungo tempo vicino a Putin. Nell’esercitazione Cold Response, il plotone controcarri del Terzo reggimento alpini della brigata Taurinense ha inchiodato i «russi» con i missili Spike durante la simulazione sul campo. Una decina di uomini ha fermato un intero battaglione di invasori «centrando» un carro armato in mezzo a un ponte. «Tutti puntano a unità in grado di combattere in un ambiente particolarmente difficile ed estremo come l’Artico» spiega una fonte militare italiana. «Anche noi stiamo preparando le nostre forze a operare fra i ghiacci».