TRIESTE «Ti incontreremo ancora, sulla strada e sulle strade», nel segno di quelle parole e di quelle scelte che sono state dei «giusti», perché «hai vissuto di cuore».
Dice così don Paolo Iannaccone. E nella cappella di via Costalunga un applauso lungo saluta Pino Roveredo, scomparso il 21 gennaio a 68 anni dopo una lunga malattia.
È l’applauso che chiude le esequie per le quali sono arrivati in tanti, a centinaia, occupando la gran parte degli spazi fuori dalla Sala azzurra, mettendosi in fila ben prima di mezzogiorno per portare un fiore, stringere in un abbraccio i familiari, dare una carezza allo scrittore che sorride dalla foto posata sulla bara di legno chiaro.
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Ecco Daniela Schifani Corfini, presidente della Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin: «Pino era una persona speciale, sapeva capire la sofferenza». Poco più in là passa l’assessore comunale alla Cultura Giorgio Rossi. Arriva Paolo Santangelo, segretario generale della Fondazione CRTrieste.
E ancora il consigliere regionale Francesco Russo, la consigliera comunale Laura Famulari, il presidente dell’Ordine dei giornalisti Fvg Cristiano Degano. C’è l’ex assessore regionale alla Cultura Gianni Torrenti che ricorda i tempi di Roveredo garante regionale dei detenuti, «un incarico vissuto con grandissimo impegno».
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Sul registro delle presenze la firma del giornalista e scrittore Paolo Rumiz. «Pino - lascia scritto il regista Franco Però - sei stato una Caracreatura e così ti ricorderò».
Dalla Quercia alla 2001 alla Collina, molti i rappresentanti del mondo delle cooperative. E ancora - fra gli altri - Gigliola Bagatin, Alessandro Mizzi, Stefano Dongetti, Theo Verdiani, tutte persone con le quali Roveredo ha realizzato per tanti anni spettacoli, riviste, progetti di impegno sociale e culturale. I rappresentanti del Comitato Dolci portano la Bandiera della pace.
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Gianfranco Sinagra, il direttore della Cardiologia di Asugi, di Roveredo vuole ricordare «la semplicità, la profondità di sentimenti e di valori» ma anche la capacità di credere «fino all’ultimo nella vita».
Poco più in là c’è Roberto, che assieme alla mamma Olga - la sorella dello scrittore - è stato fra quanti lo hanno assistito («L’ho fatto ridere fino all’ultimo...»). Tantissime le persone, molteplici i mondi che in questo ultimo saluto a Roveredo si incontrano e si incrociano, ascoltando poi le parole con le quali don Iannaccone (assente don Mario Vatta per motivi di salute) ripercorre il senso di un’esistenza: «La sua vita è stata una capriola in salita. Le difficoltà, i disagi, l’esperienza del collegio, tante altre cose lo hanno portato a vivere in maniera drammatica il senso della vita».
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Ed ecco allora le parole chiave: «La prima è rinascita, perché Pino ha avuto l’occasione - e quanto importante è stata la sua famiglia - di mani tese che gli hanno permesso di rialzarsi». E subito dopo ecco la parola orgoglio, declinata «in senso positivo» da parte di chi sa, di chi riesce ad alzarsi afferrando quella mano tesa.
E poi c’è il termine dignità: perché nella «seconda parte della vita di Pino, al di là della retorica, c’è stato un riversare l’esperienza delle sofferenze al servizio di chi le ha vissute dopo di lui». Di qui «una scelta di campo ben precisa, quella di stare dalla parte dei fragili, degli abbandonati, dei carcerati, degli emarginati».
Una scelta non banale, che Roveredo «ha pagato di persona a caro prezzo, anche a prezzo dell’emarginazione», scandisce don Iannaccone: ecco la «dignità della persona, dell’uomo, di quelli che chiamiamo ultimi ma che non lo sono».
Una parola che si affianca bene in questo caso a un’altra, laddove «la strada è stata maestra, lui è stato un operatore di strada e sulla strada ha incontrato tante persone e amicizie durate nel tempo», perché «strada è anche fare scelte concrete, scegliere da che parte andare e come interagire con chi si incontra».
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Tutte cose per le quali ci vuole coraggio. E un’ultima parola-chiave pronuncia don Iannaccone, sogno: «Anche grazie all’esperienza che hai vissuto - dice,rivolto a Roveredo - hai sognato un mondo diverso, più vero e più giusto, che parta dai fragili e non dai potenti». E così «tu rivivrai ogni volta che faremo questo sogno, che ci impegneremo a sognare un mondo che non si lavi le mani».
Per questo, «quelle parole - rinascita, orgoglio, dignità, coraggio e sogno - ti appartengono e ti descrivono». Per questo, è ancora don Iannaccone a dire un ultimo «grazie Pino» parlando di scelte e parole che resteranno, e a portare «l’abbraccio più forte di tutti noi» ai familiari, dice citandoli: Olga, Rino, Marco, Andrea, Alessandro, Luciana.
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Dopo le parole di don Iannaccone, quelle di una lettera letta con emozione a nome di «tutta la popolazione della Casa circondariale di Gorizia», dove Roveredo - così come ha fatto in carceri di altre città - ha tenuto di recente un ultimo progetto di scrittura. Infine, dal gemello Rino - che con Pino divise l’esperienza dell’Ente comunale di assistenza - il messaggio che si incarica di leggere Mario Grasso, attore, amico strettissimo di Roveredo del quale ha presentato e interpretato pagine per innumerevoli volte.
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Da Rino Roveredo, il saluto a «un ragazzo e un uomo che con l’esempio si è donato agli altri scegliendo testardamente sempre gli ultimi». Ma niente è finito: restano «la bellezza dei tuoi figli» e quelle «pagine meravigliose». E un ultimo pensiero: «Nessun regalo nessuna pretesa, volevamo solo essere felici. A presto gemellone». —