La medaglia d’onore del presidente della Repubblica è un riconoscimento che ogni anno, nel Giorno della Memoria, emoziona anziani, e sempre più i loro eredi, che in gioventù furono catturati dai soldati tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e deportati nei campi di concentramento se non accettavano di unirsi alle Ss e alla Repubblica Sociale per combattere contro altri italiani. Li chiamarono gli “schiavi di Hitler”.
Anche quest’anno, il 27 gennaio, il prefetto di Mantova consegnerà le medaglie d’onore, lo farà nell’auditorium Monteverdi del conservatorio Campiani, durante la commemorazione ufficiale del Giorno della Memoria, che ricorda il 27 gennaio 1945, quando l’esercito russo entrò nel lager di Auschwitz, scoprendo l’orrore delle camere a gas, e trovando i sopravvissuti come fantasmi in pelle e ossa.
Ecco i nomi dei prigionieri di guerra a cui è stata conferita la medaglia d’onore: Ivo Andretti di Roncoferraro e il fratello Angelo Andretti, Giuseppe Begotti di Asola, Ferruccio Biancardi di Mantova, Marino Campana di Mantova, Cornelio Carasi di Goito, Alessandro Casonati di Ostiglia, Bruno Cuoghi di Sermide e Felonica, Bartolomeo Fadini di Curtatone, Giuseppe Furoni di San Giorgio Bigarello, Aldino Guido Ghelli di Poggio Rusco, Otello Ghizzi di Mantova, Salvatore Grieco di Castiglione delle Stiviere, Giuseppe Orlandi di Curtatone, Paolo Padovani di Curtatone, Otello Peschiera di Asola, Chiarino Pizzoli di Mantova, Renato Rossi di Ostiglia, Leopoldo Savini di Mantova, Rino Zantedeschi di Mantova, Cirto Zavattini di Suzzara e Angelo Zilia di Mantova.
Più della metà di questi “schiavi di Hitler” hanno avuto il riconoscimento di Mattarella grazie a un volontario un po’ speciale: si tratta del commendatore Luigi Filochi, dell’associazione Amiri di Borgo Virgilio, con sede in via Costa, che ha preparato dodici domande, su richiesta dei parenti. «Alcuni mi hanno chiamato l’anno scorso, dopo aver letto l’articolo sulla Gazzetta – racconta – Bisogna allegare una documentazione che attesti che quel soldato fu catturato e portato in Germania come prigioniero di guerra. A volte è scritto tutto nel foglio matricolare che viene conservato all’Archivio di Stato, a volte no. E allora si cercano testimonianze, come può essere il ricordo di un commilitone o una cartolina inviata ai genitori da un campo di concentramento». Per Filochi questo è un impegno che deve a suo padre Tommaso. «La legge che istituisce le medaglie è del 2006, io feci la domanda per mio padre nel 2008. Dopo di allora ne ho fatte altre 200 e ogni volta, dentro di me, le dedico a lui, che fu portato in ben cinque campi di concentramento». Quest’anno, i suoi premiati sono tutti defunti, ma anche figli e nipoti tengono al riconoscimento. «Anni fa, c’erano persone quasi centenarie con gli occhi umidi per l’emozione e la gioia. Ottenni la medaglia a Parma, per monsignor Anacleto Zoppi, di 103 anni, che era stato cappellano militare a Dachau».
Le storie che raccoglie sono belle e insieme strazianti. «Il padre e lo zio dell’ex prefetto Lombardi furono rastrellati che avevano diciassette e diciotto anni». Il padre di don Zilia, uno dei militari di cui si è occupato Filochi e che sarà ricordato al Campiani, «fu rilasciato l’8 maggio 1945, ma per altri la liberazione arrivò mesi dopo che era finita la guerra: Begotti il 29 agosto e Cuoghi il 4 settembre». Come mai non poterono tornare subito a casa? «Non era facile gli americani spesso curavano questi prigionieri per renderli in grado di viaggiare. Per anni avevano mangiato solo bucce di patate, erano stati picchiati, costretti a lavori durissimi al gelo. Ma quando venne loro offerto di firmare per Mussolini, si rifiutarono e preferirono i sacrifici dei lager».
