«Tecnologie per il risparmio d’acqua nell’irrigazione, piante più resistenti a malattie e alla siccità stessa: saranno ricerca e innovazione a salvare l’agricoltura in un momento così difficile a causa dell’aumento dei costi. Ma l’Europa ci lasci fare il nostro percorso». Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, presidente provinciale di Confagricoltura, non ha dubbi: la sfida del cambiamento climatico e dei rincari si vince solamente innovando. Ospite del forum in Tribuna a Treviso per parlare dello stato di salute del settore agricolo della Marca, Bonaldi ci ha spiegato come. Spaziando dal Prosecco alla sicurezza sul lavoro.
Presidente, partiamo dallo stato di salute del settore.
«Il 2022 è stato un anno tutto sommato positivo nonostante le criticità: guerra, inflazione, aumento dei costi, ridotta capacità di spesa dei consumatori, tutti fattori che incidono. C’è stato anche aumento dei prezzi dei prodotti, è vero, che in parte ha compensato. II 2021 aveva già segnato dei punti positivi, le aziende non si erano fermate in un anno segnato dal Covid, anzi, e anche ad oggi però tutto sommato i risultati sono positivi. Il primo semestre 2023 ci dirà se il buon andamento del 2022 sarà confermato o se ci sarà un arretramento».
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Molta parte dei costi è stata scaricata sul prezzo al consumatore, può reggere questa situazione?
«La sensazione che abbiamo è che la capacità di acquisto sia diminuita, anche perché è vero che i rincari si sono trasferiti in parte sul consumatore. Il vino, per esempio, non è un bene di prima necessità: vedremo come reagirà il mercato all’aumento dei prezzi. Vedremo anche quanto dura l’aumento dei costi: se persegue è un problema, le aziende non possono tenersi gli aumenti “in pancia” ma non possono nemmeno scaricare di più sul mercato. A questi prezzi e con costi minori può reggere l’equilibrio, le aziende possono avere un giusto margine».
Qualche numero?
«Attualmente il valore della produzione agricola in provincia di Treviso tocca quota 1,3 miliardi di euro, il 70% è dovuto al vino. Su sei miliardi di valore in Veneto, Treviso è seconda dietro Verona. Nella Marca abbiamo quasi 15 mila addetti».
Aumentano?
«Non c’è una tendenza in questo senso, perché il settore cresce ma nel contempo lo fa l’automazione per determinati tipi di lavoro richiesto».
La partita del cambiamento climatico tocca l’agricoltura più di altri settori.
«È una parte fondamentale della nostra vita. Non ci interessa se sia un ciclo che dipende dall’uomo o no, il fatto è che c’è meno pioggia e più siccità. Non abbiamo altra strada che l’innovazione verso un consumo d’acqua più mirato e contenuto: abbiamo avuto dei disastri dove l’acqua non c’era, qui a Treviso. La ricerca scientifica in questo senso è fondamentale, con nuove tecniche genetiche per avere piante più resistenti e che abbiano meno bisogno di acqua e maggiore resistenza alle malattie. Non si tratta di Ogm».
In che senso?
«Ogm significa introdurre elementi di un organismo diverso, qui invece parliamo della stessa pianta attivando o disattivando alcuni geni. Avviene anche in natura, siamo in grado di produrre vitigni per esempio più resistenti alle malattie. Sull’ibridazione tradizionale siamo già avanti, stiamo finanziando progetti, sulla genetica serve che le normative lo permettano: in laboratorio si può fare, in ambito Ue serve che queste nuove tecnologie non vengano equiparate a quelle Ogm. C’è più consapevolezza rispetto al passato che ci sia questa necessità, abbiamo bisogno di correre lungo questa strada, la politica deve capirlo. Speriamo che l’Europa faccia il ragionamento necessario».
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Molte startup innovative nascono proprio per l’agricoltura, come quelle legate all’uso dei dati satellitari. Che ruolo hanno associazioni come la vostra?
«Come associazioni e come imprese cerchiamo di finanziare la ricerca. L’attività ha bisogno di essere coordinata, servirebbero filoni sui quali concentrare sforzi e convogliare risorse, perché senza ricerca e innovazione moriamo. Penso ai sistemi di irrigazione che passano da quelli vecchi a scorrimento a quelli nuovi a goccia, per esempio, dove il Consorzio Piave sta portando avanti un lavoro importante».
Altro tema “europeo”, oltre alla genetica: noi applichiamo regole rigide sui nostri prodotti, altri Paesi meno?
Il modello della politica agricola europea, per semplificare, ci porta verso un modello unico di agricoltura di tipo biologico, che non è completo: avremmo solo imprese meno competitive, con minore produzione e più lavoro. Può essere virtuoso, ma non per tutti. Prodotti dall’estero, extra Ue, possono arrivare da noi nonostante l’utilizzo di fitofarmaci e regole diverse, con prezzi minori. Servono regole di reciprocità, va fatto questo ragionamento, non dobbiamo essere miopi».
Si può ancora parlare di un’agricoltura italiana?
«Abbiamo tante denominazioni, il problema è farle riconoscere come tali, le dobbiamo anche saper valorizzare: serve la capacità di rappresentazione della nostra agricoltura a livello europeo, finora c’è stata solamente in parte. Noi abbiamo limitazioni molto più stringenti sui fitofarmaci, per esempio sulle noci, ma vale anche per l’ortofrutta: abbiamo un quarto dei principi attivi autorizzati rispetto agli Stati Uniti. Vorremmo poter fare ricerca, attenta all’ambiente, e utilizzarla».
Dobbiamo alzare valore e prezzo dei nostri prodotti?
«Se penso al Prosecco, direi che mi pare ben collocato da questo punto di vista. Il latte ha aumentato valore in maniera significativa, consentendo un ritorno alla marginalità per i produttori, erosa però dai costi energetici».
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Ha parlato del Prosecco: la crescita pare inarrestabile.
«Siamo stati abituati a una crescita notevole in questi anni, anche a due cifre. Oggi ovviamente si è assottigliata, ma è un bene per il sistema: una crescita troppo forte non fa bene a nessuno. Abbiamo una Ferrari che dev’essere governata, già mantenere questi numeri sarebbe un enorme successo, dobbiamo secondo me stabilizzarli e rendere il sistema più gestibile».
Questa Ferrari oggi non è governata?
«Non dico questo, il consorzio sta operando bene».
Quale?
«Quello della Doc in questo caso, con una gestione oculata della produzione per regolare domanda e offerta senza eccessivi stress. Interpretiamo in maniera scientifica i numeri, anche se ognuno nella grande famiglia del Prosecco cerca di tirare l’acqua al proprio mulino, magari aumentando produzione. Ma così non facciamo il bene del sistema, serve una crescita armonica: questa è la superficie che abbiamo a disposizione, grossi incrementi non ne vedo e non fanno bene a nessuno. Per essere bravi dobbiamo lavorare uniti come produttori e imbottigliatori della Doc e anche dialogando con gli altri consorzi, è ineludibile una visione d’insieme pur nelle differenze che ci sono, di prodotto finale e di costi. Serve anche una filosofia comunicativa condivisa».
No alla concorrenza interna?
«No, non c’è bisogno, ciascuno ha il suo spazio e ci sono margini di crescita collettiva. Ognuno deve fare mezzo passo indietro per poi correre in avanti. Se cresciamo insieme è un bene per tutti. È giusto che chi produce in collina voglia tutelare le proprie specificità, ma alla fine serve una sintesi che metta d’accordo tutti, è un lavoro faticoso ma necessario affinché ciascuno non vada in una propria direzione diversa».
Si vedono già gli effetti-Unesco?
«I risultati si fa ancora fatica a vederli, per esempio in ambito turistico dove ci sono ancora strascichi del Covid. Ma le potenzialità sono tante. Serve un ente coordinatore unico, altrimenti disperdiamo la nostra capacità di attrazione».
Per chiudere, una domanda legata alla sicurezza sul lavoro: l’agricoltura è ancora uno dei comparti più a rischio.
«Il problema esiste. Bisognerebbe analizzare bene le cose, molti incidenti sono dovuti al ripetere di comportamenti sbagliati su rischi conosciute. Li abbiamo ridotti, la normativa è precisa, ma ci sono ancora incidenti difficili da comprendere. Penso a chi entra nelle cisterne: c’è il divieto assoluto di farlo, la normativa è penetrante, è difficile fare di più da questo punto di vista. Ci vogliono forse ancora maggiore formazione e sensibilità da parte di imprenditori e lavoratori».