TRIESTE. Il Covid, l’influenza, le scartoffie. Il paziente sofferente, quello infastidito, quello ipocondriaco. Un periodo complicato per i medici di medicina generale. Più di sempre. Con la novità dell’annunciato ulteriore aumento del tetto del numero di assistiti: 41 a Trieste, 50 a Gorizia, 175 a Monfalcone.
Un incremento «sospeso in attesa del comitato aziendale, sperabilmente entro fine anno», come ha precisato nella serata del 27 dicembre il direttore generale di Asugi Antonio Poggiana (si legga a destra). Quando li chiami al telefono, nel primo giorno di lavoro dopo la breve pausa natalizia, la risposta è sempre la stessa: «Sto visitando, ci sentiamo più tardi». Andrea Vertua, studio in piazza Virgilio Giotti, parte proprio dalla decisione dell’Azienda sanitaria: «Posso capire che Asugi sia costretta a iniziative necessarie a tamponare l’emergenza, ma sarebbe stato opportuno almeno concordarne le modalità. Tra l’altro, anche se mi aumenti il massimale, le ore rimangono 24». Il lavoro è «faticosissimo», prosegue Vertua, «tra cittadini preoccupati per i sintomi, simili, di Covid e influenza. E senza dimenticare la burocrazia, che ci porta via il 30-40% del tempo. Facciamo davvero i salti mortali».
Burocrazia, lo raccontano più voci, conseguenza della criticità sempre più grave delle liste d’attesa. I mmg spesso preparano l’impegnativa per un esame strumentale, «quando potrebbe essere lo specialista a farlo, come da decreti nazionali». Dopo di che, fenomeno post-pandemia, le agende sono chiuse, i tempi si allungano e i pazienti ritornano in ambulatorio.
«Il giro delle sette chiese», riassume Vertua, ma lo stesso racconta Tiziana Cimolino: «I codici di priorità sono saltati o comunque si va molto, molto in là con le disponibilità, al punto che triestini over 80 sono costretti a recarsi a Gorizia o Udine. Il tema è quello di un percorso sanitario non attuabile, con conseguente carico di lavoro sulla medicina generale e sui Pronto soccorso. L’aumento dei massimali? L’unico aspetto positivo è che le persone avranno più possibilità di scelta nel caso in cui il medico, anziché di fiducia, gli sia stato imposto».
Marco Giusto, mmg in via San Zaccaria, ha preso servizio dal primo settembre. «A fine ottobre ho contato già 1.510 assistiti – spiega –. Una cinquantina in più sono un altro aggravio, fermo restando che oltre le 12 ore non si può andare, tra visite, ricette, ordinaria amministrazione. E quello che manca, nel mio caso, è anche la conoscenza della storia dei pazienti, e non è facile prendere decisioni in breve tempo con queste premesse».
Nella stessa struttura lavora Marco Guazzieri: «Sono qua 10-12 ore, ma capita pure di dover utilizzare il sabato per le visite domiciliari non urgenti, rispondendo comunque ai bisogni dell’utenza. Tra ambulatorio, telefonate e mail non c’è mai una pausa».
Non poco preoccupata anche Olivia Giannini, mmg in via Paduina: «Con il Covid non c’erano i sabati e le domeniche, ma oggi si viaggia comunque attorno alle 50 ore settimanali. Oggi paghiamo la mancanza di programmazione e il fatto che la nostra professione non viene resa attrattiva, a partire da borse per gli specializzandi con compensi troppo bassi. Il servizio pubblico, che era un fiore all’occhiello, è compromesso».
In via Matteotti riceve invece Orjana Haxhiymeri, che, di pazienti, ne ha 1.575. «Ho guardato su Sesamo e non compaio tra quelli con l’incremento, vista la quota già raggiunta – commenta –. Del resto, non so che alternative possano avere le aziende in assenza del ricambio generazionale. I giovani non sono interessati a fare il mmg e me ne accorgo, nel ruolo di tutor, parlando con i colleghi del CeForMed e dell’esame di Stato. Il nostro è un lavoro che non finisce mai. La mia giornata di lavoro? Stamattina sono entrata in ambulatorio alle 7.15 e sembrava avessi chiuso da un mese, nonostante avessi letto la posta pure a Natale e Santo Stefano».
A trasmettere la sofferenza del momento è pure Antonella Di Michele, mmg a Staranzano. «Con 1.400 pazienti ho un impegno di 14 ore, impensabile fare di più», dice raccontando l’ultimo intoppo: «Ero in ferie dal 22 dicembre, ma oggi (ieri per chi legge) ho dovuto interromperle, anche se solo per un giorno, per un imprevisto del sostituto che mi ha avvisato la sera prima. Non abbiamo diritti, non abbiamo la malattia, non abbiamo certezza delle ferie, a conti fatti prendiamo meno di 10 euro all’ora, il nostro è diventato un lavoro usurante».
Quanto all’aumento degli assistiti, Di Michele fa un esempio: «Immaginatevi cosa può succedere in un albergo in cui al personale di servizio, anziché le solite 10 camere, venga chiesto di pulirne 30. Ci ritroviamo nella stessa situazione, con l’aggiunta di una burocrazia da sbrigare e di decine di telefonate al giorno di persone spaventate dai sintomi di stagione, oltre al Covid. Non abbiamo in alcun modo la possibilità di rispettare il tempo di cura, il lavoro ci manda in burnout, subiamo pure qualche aggressione. Uno stato di perdurante tensione, peggiorato negli ultimi tre anni». Adriana Fasiolo, ambulatorio in Corso Italia a Gorizia, avverte che «questo incremento di assistiti va a tamponare un’emergenza, ma, se non si attueranno scelte di organizzazione sanitaria, quell’emergenza diventerà sempre più incontenibile. Serve un investimento straordinario per sanare e innovare il sistema».
Sul tema dei massimali Claudio Nardo, studio a Ronchi, invita a ricordare che, «a fronte di un contratto che prevede un aumento per sei mesi e poi il rientro, siamo davanti a incrementi continui da un triennio. L’ultimo era avvenuto a inizio 2022». Più in generale, «viviamo in un sistema che sta implodendo, con i medici che non sono messi nelle condizioni di fare il proprio lavoro, mentre i pazienti vengono sballottati tra cup, specialista e mmg».
