foto da Quotidiani locali
PORDENONE. Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di un imprenditore al quale era stato revocato il porto d’armi per il fucile da caccia per il suo passato di militanza nel Veneto Fronte Skinhead e ai procedimenti penali in cui era incorso fra il 1992 e il 2002.
La difesa aveva già a suo tempo evidenziato come l’imprenditore avesse preso le distanze dal movimento di estrema destra da un ventennio e come fosse stato scagionato da ogni accusa nei processi in quanto estraneo ai fatti.
Titolare della licenza di porto di fucile dal 2001, l’imprenditore si era visto negare dalla Questura di Pordenone il rinnovo nel luglio 2020: a seguito dell’istruttoria erano emersi elementi tali da far venir meno, ad avviso della polizia di Stato, i requisiti di legge, in particolare quello sull’affidabilità del soggetto.
L’imprenditore, assistito dall’avvocato Paolo Viezzi, si era rivolto al Tar, che però ha dato ragione alla Questura. Così ha impugnato il provvedimento dinanzi al Consiglio di Stato, evidenziando come il Tar abbia ritenuto legittimo il diniego della licenza non per ciò che ha concretamente fatto negli ultimi anni, ma per ciò che è stato in passato e per le idee politiche che ha professato.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto infondato l’appello, sottolineando come la valutazione compiuta dalla Questura di Pordenone resiste al loro vaglio, in quanto legittimamente ancorata a elementi che giustificano la prognosi di possibile abuso dell’arma, quali i numerosi precedenti di polizia e la militanza attiva in un’associazione estremista. —