Ma andiamo con ordine. Il via libera a Parigi non è stato facile nemmeno per Bruxelles. L’esame è durato circa un anno e nella Commissione c’è stata battaglia perché era stato sollevato il problema di eventuali distorsioni nella concorrenza. Il presidente Emmanuel Macron alla fine l’ha spuntata e ha piantato il vessillo ambientale previsto dalla sua legge 2021 su «Clima e resilienza» facendo passare il principio che si possono bloccare i voli quando i treni garantiscono lo stesso percorso in meno di due ore e mezza.
L’Unione però, stretta d’assedio da interessi contrari, stavolta nel ruolo dell’avvocato del diavolo, ha messo alcuni paletti: il collegamento ferroviario dovrà essere garantito più volte al giorno e senza cambio di treno, le frequenze dovranno essere con orari adeguati ai passeggeri. Inoltre chi viaggia deve poter restare almeno 8 ore nella città d’arrivo. Sicché il blocco alla fine può riguardare solo le tratte tra Parigi-Orly e Bordeaux, Lione e Nantes, invece delle otto inizialmente proposte dall’Eliseo.
Nella norma esecutiva si legge che «gli effetti negativi di qualsiasi restrizione dei diritti di traffico sui cittadini e sulla connettività europei devono essere compensati dalla disponibilità di modi di trasporto alternativi a prezzi accessibili, che siano convenienti e più sostenibili». Questo significa che se i servizi ferroviari miglioreranno, potranno essere aggiunte nei prossimi mesi altre rotte da Parigi Charles de Gaulle a Lione e Rennes, così come tra Lione e Marsiglia. È un modo per attutire il colpo, ma ora il modello c’è ed è pronto per essere applicato a tutta Europa, Italia compresa. Tant’è che Sarah Fayolle, responsabile della campagna sui trasporti di Greenpeace Francia, in un’intervista a Euronews ha lanciato un messaggio inequivocabile: «La direzione è giusta, dobbiamo andare oltre».
Ma poi ne vale davvero la pena? Le cifre dell’impatto sono contrastanti. Per Parigi ci sarà un risparmio di 55 mila tonnellate di CO2 l’anno in base ai dati del traffico aereo 2019, soggetto tuttavia a diverse variabili a cominciare appunto dal numero di passeggeri anche questi legati ai rincari delle tariffe. La Iata, International Air Transport Association, l’organizzazione internazionale delle compagnie aeree, ha calcolato che se si eliminassero tutti i voli inferiori a 500 chilometri in Europa si taglierebbe il 24 per cento del traffico ma appena il 3,8 per cento delle emissioni di anidide carbonica. Inoltre Transport & Environment ha commentato che l’azione francese è solo simbolica dal momento che il problema è quello dei voli a lungo raggio. Quindi lecito pensare ci sia dell’altro.
«Ho l’impressione che la motivazione dei francesi più che ecologica possa essere riconducibile a un protezionismo sia verso le ferrovie sia verso Air France» commenta l’economista Ugo Arrigo analista dell’industria dell’aviazione. «È una precisa scelta politica per proteggere i campioni nazionali, ammantata però di un ambientalismo di propaganda. Le “low cost” possono fare le tratte brevi in attivo mentre così non è per Air France. Quindi dirottando il traffico passeggeri su rotaia si toglie una fonte di perdita per la compagnia di bandiera, si penalizzano le linee a basso costo e si portano guadagni alla Sncf, il principale operatore ferroviario nazionale». In Italia, se venisse applicata una norma del genere, sparirebbero solo un paio di rotte, peraltro poco utilizzate: quelle tra Roma Fiumicino, Napoli e Bologna. Queste città sono adesso collegate da treni veloci e cambierebbe poco. «Si potrebbe prefigurare una collaborazione tra Ita e le Fs o Italo. Progettando l’alta velocità non è stato preso in considerazione il passaggio da un aeroporto. La linea Milano-Torino poteva transitare per Malpensa con una piccola deviazione e avrebbe reso possibile la chiusura di Linate».
Un’altra forma di ecologismo militante ma di ben limitato impatto riguarda la guerra ai jet privati. Europa Verde e Sinistra Italiana ne hanno chiesto lo stop in campagna elettorale. Ma sono solo 133 quelli fiscalmente registrati in Italia. Sul tema è stata fatta una campagna serrata anche in Francia dal partito dei Verdi con una «caccia al ricco» messo alla gogna su internet. L’iniziativa di Parigi rientra nella rotta di Bruxelles per ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030 e di abbatterle del tutto entro il 2050. La tabella di marcia è serrata e si basa sul principio che «chi inquina paga». Un criterio che il Parlamento Ue vorrebbe più stringente. Le compagnie aeree sono tenute a possedere permessi per le emissioni: fino a ora sono concessi perlopiù gratuitamente e il sistema è applicato solo ai voli entro lo spazio economico continentale. L’8 giugno scorso il Parlamento europeo ha approvato la riforma di questo meccanismo: l’obiettivo è estendere il sistema di scambio d’emissioni a tutti i voli in partenza dallo spazio economico europeo, compresi i voli in atterraggio al di fuori di quest’area, ed eliminare le assegnazioni dei permessi per quelle gratuite, prima del 2025, ovvero due anni in anticipo rispetto al termine proposto dalla Commissione.
Il 75 per cento delle entrate dalla vendita delle quote dovrebbe finanziare le nuove tecnologie. Non solo. Le linee aeree potrebbero controbilanciare le emissioni investendo in progetti ecologici, tra cui la piantumazione di alberi. Alcune compagnie offrono già ai passeggeri la possibilità di pagare un sovrapprezzo al biglietto per destinarlo a iniziative green. «Vincoli al trasporto aereo finirebbero per penalizzare lo sviluppo del turismo nelle aree periferiche dell’Europa, tra cui il nostro Mezzogiorno» commenta Arrigo. Più in generale la domanda di fondo è sempre la stessa: riuscirà l’Europa a portare su questa strada tutte le grandi realtà mondiali, come Cina e India, che pesano in maniera molto importante nelle emissioni globali di anidride carbonica, o rischia di trovarsi in una fuga solitaria con effetti tutti da verificare?