Nel segno di una continuità annunciata, Luigi Garofalo rimane presidente di Fondazione Cassamarca. Il consiglio di indirizzo e programmazione, nella seduta di martedì 6 dicembre, ha confermato «all’unanimità e per acclamazione» il presidente uscente alla guida dell’ente per il quadriennio 2022-2026.
In carica dal 2018, Garofalo è l’uomo che ha guidato la Fondazione nel momento più difficile della sua storia dal punto di vista dei conti. La conferma, ora, è il timbro su un lavoro di risanamento poderoso, anche drastico, timbrato dallo storico accordo – esattamente un anno fa, dicembre 2021 – che aveva azzerato il maxidebito da 170 milioni di euro con Unicredit, portato in pancia quasi per intero dall’operazione Appiani.
L’uomo che ha raddrizzato la barca, insomma, si è guadagnato il diritto di poterla manovrare per altri quattro anni, in acque sicuramente più tranquille e che gli consentiranno di ragionare sui progetti e sulle opportunità, non solamente sulle emergenze legate al risanamento.
Avvocato e docente di diritto romano e fondamenti di diritto europeo al Bo, Garofalo con il suo lavoro e i risultati ottenuti aveva spazzato via ogni dubbio su possibili sorprese dell’ultima ora: la sua riconferma era data per scontata, anche Gian Paolo Gobbo – ex sindaco di Treviso, vicepresidente dell’ente e grande sponsor di Garofalo stesso – era stato molto esplicito, un paio di settimane fa: «Non vedo motivi per non confermare Garofalo, che ha fatto molto bene in questi anni. E mi sembra un giudizio incontestabile».
Ora le questioni sul piatto sono tante, dalla cultura all’università passando per il futuro del distretto. Che destino avrà? Si va verso la cessione, con una destinazione di tipo residenziale che potrebbe far gola a qualche fondo? Di certo, senza la spada di Damocle del rosso di bilancio, ogni soluzione può essere studiata con maggiore serenità: il preventivo 2023 presenta un avanzo di oltre tre milioni di euro, dieci volte tanto quello previsto nel precedente preventivo, relativo al 2022, varato un anno fa.
Con la crisi finanziaria e l’azzeramento dei dividendi da parte di Unicredit, il debito di Fondazione aveva superato i 200 milioni di euro, e il patrimonio immobiliare e azionario posto a garanzia aveva subito i pesanti colpi della svalutazione.
Dopo consuntivi chiusi con passivi monstre (quasi 78 milioni di euro nel 2018), ora insomma l’orizzonte ha tutt’altro colore. I tre milioni di avanzo, ora, arrivano sulla scia delle azioni di un passato recente e meno recente: la cancellazione del debito con Unicredit, per esempio, di cui si parlava prima, ha tolto interessi passivi per quasi due milioni l’anno.
E poi nell’ultimo anno di gestione ci sono state la vendita di Villa Lina e dei terreni dell’ex Secco, e inoltre sono finiti in cassa i tre milioni versati dalla Camera di commercio per chiudere il braccio di ferro durissimo avviato da Fondazione in seguito al mancato trasferimento all’Appiani dell’ente di piazza Borsa. E poi ancora la cessione in convenzione del convento di San Francesco al Comune di Conegliano, oltre ad altre razionalizzazioni delle spese.
Opera drastica, si è detto, e non ancora conclusa: all’orizzonte c’è anche la vendita del teatro Da Ponte al Comune di Vittorio Veneto. Al tramonto della faticosissima stagione dei tagli draconiani – certificata dai numeri – ora la Fondazione guidata da Luigi Garofalo è già lanciata verso nuove iniziative culturali, in primis l’apertura del Monte di Pietà alla città, oltre alla piena valorizzazione di Ca’ Zenobio e Ca’ Spineda.
