«Scambiatevi un segno di pace». E già dalle celebrazioni odierne quel segno potrà tornare a essere la stretta di mano, messa al bando dalle liturgie per oltre due anni durante l’emergenza pandemica.
È la principale novità contenuta nelle linee guida diramate nelle scorse ore dalla Conferenza episcopale italiana e recepite in toto anche dalla Diocesi di Udine, che ieri ha inoltrato ai parroci la lettere con «alcuni consigli e suggerimenti relativi alle misure di prevenzione della pandemia».
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Lo scenario
Meno rigore, perché in fondo dalla primavera (quando vennero tratteggiate le più recenti linee guida della Cei sulla liturgia ai tempi del Covid) a oggi l’andamento dei contagi è mutato profondamente, rallentando progressivamente prima di risalire nelle ultime settimane.
Ecco allora che la conferenza dei vescovi italiani, in vista delle festività natalizie, ha ritenuto di rivedere le norme di comportamento, allentando ulteriormente le misure che hanno profondamente cambiato le messe negli ultimi due anni e mezzo.
«Assistiamo a un lento e graduale recupero della gestualità liturgica, pur con doverosa prudenza», sintetizza don Loris Della Pietra, direttore dell’Ufficio liturgico della Diocesi.
La stretta di mano
Sabato 3 dicembre dagli uffici dell’arcivescovado di Udine è partita la mail, indirizzata a tutte le parrocchie, con cui il vescovo Andrea Bruno Mazzocato ha inoltrato le linee guida della Cei a sacerdoti e ministri.
«Rispetto alle ultime indicazioni, la novità più rilevante riguarda il segno di pace», suggerisce don Della Pietra. «Si potrà ripristinare la consueta forma di scambio del segno della pace», recita uno dei punti contenuti nella lettera della Conferenza episcopale.
«Questa apertura consente di riappropriarci di una certa gestualità, soffocata dalle norme per il contenimento dei contagi. In particolare era risultato un po’ sbiadito il segno della pace», aggiunge il direttore dell’Ufficio liturgico.
Le altre misure
Nelle proprie indicazioni viene ribadita la possibilità di tornare a riempire le acquasantiere, come già evidenziato lo scorso maggio.
Nonostante il via libera della Conferenza episcopale, sono ancora oggi molte le chiese in Friuli che hanno preferito lasciare all’asciutto i contenitori all’ingresso.
Le mascherine non sono più obbligatorie, ma potranno essere raccomandate in particolari situazioni, mentre resta fortemente consigliata l’igienizzazione delle mani all’ingresso dei luoghi di culto.
Non è più obbligatorio assicurare il distanziamento tra i fedeli che partecipano alle celebrazioni: fedeli che devono evitare di prendere parte alle liturgie se presentano sintomi influenzali o se sono sottoposti a isolamento perché positivi al Covid.
A sacerdoti, diaconi e ministri è consigliato di igienizzare le mani prima di distribuire la Comunione. «Nella celebrazione dei battesimi, delle cresime, delle ordinazioni e dell’unzione dei malati si possono effettuare le unzioni senza l’ausilio di strumenti», precisa infine la lettera.
«Alcuni sacerdoti restano molto guardinghi, ma credo che sia necessario approcciarsi a questa fase con una certa serenità di fondo. Del resto se bar, ristoranti e luoghi di ritrovo sono aperti e frequentati regolarmente da mesi, non vedo perché il rigore debba interessare unicamente le chiese», conclude don Della Pietra.
La scelta di Gorizia
Non tutte le diocesi della regione si sono adeguate in maniera integrale alle norme della Cei. L’arcivescovo di Gorizia, Carlo Maria Roberto Redaelli, ha diramato una nota pastorale con la quale «tenendo conto che nella nostra regione il numero dei contagi è purtroppo da settimane in aumento, richiama all’osservanza delle indicazioni precauzionali», che ricalcano quelle adottate finora: quindi niente scambio di pace («È opportuno continuare a evitare la stretta di mano o l’abbraccio»), acquasantiere vuote, comunione preferibilmente in mano e mascherine consigliate.
Regole che interesseranno i fedeli di Aquileia e del Cervignanese, che ricadono nell’ambito dell’Arcidiocesi goriziana.