foto da Quotidiani locali
Più di tremila. Tanti furono i goriziani arrestati, deportati e internati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Uomini e donne spesso torturati e uccisi, che passarono tutti per le carceri di Gorizia, e che ora sono tutti ricordati in un volume. È una ricerca assai minuziosa quella che ha compiuto Luciano Patat, già sindaco di Cormons, per scrivere “I treni per i lager. La deportazione dal carcere di Gorizia (1943-1945)”, libro con prefazione di Mimmo Franzinelli pubblicato dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione di Udine (pagg. 450, euro 25). I dati, le statistiche e le schede abbondano, ma la ricostruzione è intrisa di passione, corredata da testi redatti dall’autore e da una lunga serie di testimonianze. Ne risulta uno strumento molto utile per far luce su un argomento decisamente poco conosciuto.
Un lavoro enorme...
«Il libro - risponde Luciano Patat - narra la storia della deportazione di quanti erano detenuti nel carcere di Gorizia dal settembre ’43 all’aprile ’45: quindi, in venti mesi di occupazione tedesca del territorio che, in quel periodo, faceva parte della Zona d'operazioni del Litorale adriatico e che, di fatto, era parte del Terzo Reich, anche sotto l’aspetto legislativo. Di conseguenza, il penitenziario aveva una funzione differente rispetto a prima.
In che senso?
«In precedenza, il carcere di Gorizia era riservato ai detenuti per così dire comuni che scontavano le classiche pene. A partire dall’occupazione tedesca, invece, era sostanzialmente composto da prigionieri politici. La maggior parte dei detenuti veniva reclusa per misure di pubblica sicurezza: si trattava dei partigiani e dei collaboratori della Resistenza oltre ai parenti degli uni e degli altri. In molti venivano arrestati soprattutto per opera dei fascisti e delle spie. I tedeschi, infatti, non conoscevano il territorio e nemmeno, quindi, i suoi cittadini. Pertanto, non avrebbero potuto individuarli».
Quanti erano i detenuti del carcere di Gorizia?
«In quei mesi erano entrate 7041 persone, come indicano i registri. Di queste, circa 300 erano detenuti comuni, mentre gli altri erano prigionieri politici, numeri che rendono l’idea di che carcere fosse. Occorre poi aggiungere che tre quarti dei detenuti provenivano dall’allora provincia, che non comprendeva il Monfalconese, ma le valli dell’Isonzo e del Vipacco».
In quanti sono stati deportati?
«Si può fornire un dato preciso: 3085 sono gli internati in Germania. Di questi, circa il 70% erano uomini. La percentuale di donne, circa il 30%, è quindi particolarmente elevata rispetto ai dati nazionali. Del resto, anche i giovani erano molti: arrestare i ragazzi significava non dare loro la possibilità di entrare nella Resistenza. I dati del carcere ci permettono inoltre di conoscere l’identità dei 55 detenuti politici che sono stati fucilati, in buona parte al Castello di Gorizia».
In quale campo di concentramento sono stati internati?
«Anche in questo caso si possono fornire numeri precisi. In 1892 sono stati inviati nei campi di concentramento e quindi a Dachau, Mauthausen, Auschwitz, Ravensbrück e altri ancora. Invece, 1187 sono stati obbligati a prestare lavoro coatto: specie in Carinzia, ma anche in Baviera e in altre parti della Germania. Non vanno poi dimenticati i 6 bambini nati nei lager».
Le deportazioni dal carcere riguardavano solo Gorizia?
«No, anche gli altri penitenziari dell’Adriatisches Küstenland. Le ricerche hanno evidenziato che, dalle carceri di Trieste, Gorizia, Udine e Pola, sono partiti 73 treni giunti in Germania, che rappresentano il 60% dei treni che da tutta Italia trasportavano nei campi concentramento i prigionieri politici e quelli razziali».
In quali campi di concentramento finivano i deportati?
«La scelta veniva effettuata sulla base di un interrogatorio che ogni prigioniero, non appena entrava in carcere, doveva sostenere. Come noto, i campi di concentramento, infatti, non erano tutti uguali. Tra i maschi che sono stati deportati, 700 (e quindi più della metà) sono stati internati a Dachau, che era considerato un campo di primo livello. Oltre 200 maschi sono stati inviati a Flossenbürg, campo di secondo livello. Del resto, anche a Buchenwald, altro campo di secondo livello, sono stati inviati 200 maschi, mentre un centinaio di essi è dovuto andare a Mauthausen, campo di terzo livello e, quindi, particolarmente duro».
E per quanto riguarda le donne?
«Oltre 400 donne, e quindi il 70%, è stata inviata ad Auschwitz. Va chiarito che Auschwitz era formato da tre campi principali. Il primo e il terzo erano di secondo livello, mentre Birkenau, dove sono stati internati i 27 componenti della comunità ebraica goriziana nel dicembre ‘43, era un campo di sterminio, prevedendo l’immediata eliminazione dei deportati. Le altre donne del carcere di Gorizia sono state deportate nei campi di Ravensbrück e Bergen Belsen».
Per raccogliere i dati in maniera così precisa, quanto tempo ha impiegato?
«Circa tre anni. Ho cominciato nel 2019. Il carcere di Gorizia conserva ancora tutti i registri e, fortunatamente, ho potuto profittare della disponibilità del personale. Certo, si tratta di registri che andrebbero restaurati e sarebbe il caso, come già avvenuto a Trieste e a Udine, di trasferirli all’Archivio di Stato per una migliore frizione».
Ha in mente di allargare l’analisi alle deportazioni dai carceri di Trieste e di Udine?
«Sto già lavorando ad analoghe ricerche per quanto riguarda il carcere di Udine, che raccoglieva anche i prigionieri provenienti da Pordenone. Per quanto riguarda Trieste, so che Franco Cecotti, e Dunja Nanut sono a buon punto per un lavoro simile».
