TRIESTE Il colloquio “immobiliare” tra Comune e Università riprende su due versanti: l’ex campo profughi di Padriciano e il palazzo in via dell’Università 7.
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Lo stesso sindaco Roberto Dipiazza, l’assessore ai Lavori pubblici Elisa Lodi, l’onnicapiente “dipartimentale” Giulio Bernetti seguono, da diverse angolature, lo sviluppo delle operazioni.
La più importante delle quali si svolge in Carso e riguarda - come premesso - l’ex campo profughi di Padriciano: «Non c’è amianto», esplode la gioia del primo cittadino. «Le analisi, disposte dall’Arpa su un’ampia porzione dell’area - ribadisce Bernetti - attestano che non c’è traccia di asbesto. Per cui, per quanto ci concerne, l’Università può procedere con il suo progetto di recupero». Anche perché sembra che Dipiazza abbia macinato un’azione diplomatica nei confronti delle associazioni che avevano sede negli edifici all’interno dell’ex campo, la cui costruzione risale agli anni Cinquanta del secolo scorso.
Comunque di tutto questo Dipiazza parlerà giovedì 1° dicembre con il rettore Roberto Di Lenarda, riprendendo un ordito che si era un po’ allentato dopo la firma della concessione trentennale avvenuta nel dicembre dello scorso anno. Necessita un passo indietro esplicativo: in seguito alla devoluzione delle Province, il Comune era diventato proprietario dell’ex campo profughi, senza per la verità aver grandi ambizioni su quel comprensorio, in quanto la riqualificazione avrebbe comportato un investimento da una trentina di milioni.
Ma c’era invece chi nutriva interesse per il compendio: ecco l’Università farsi avanti, confidando in un finanziamento su bando Pnrr del ministero Università & ricerca. Una partita da oltre 40 milioni di euro, per rimettere in sesto 8 edifici e trasformarli in un campus. Si era parlato inizialmente di un polo di fisica, ma poi emerse che l’impiego sarebbe stato deciso in un secondo momento.
Il testo della concessione prevede che l’Ateneo provveda agli interventi di recupero, restauro, ristrutturazione, avendo un triennio per avviare l’operazione e trovare i quattrini occorrenti. In caso contrario l’atto, cioè la concessione, avrà perso efficacia. Inoltre resterà nelle disponibilità municipali uno stabile, che verrà restaurato dall’Alma mater tergestina.
Dal punto di vista storico l’ex campo profughi è una testimonianza della Guerra fredda. Nacque come acquartieramento dei reparti anglo-americani di stanza a Trieste. Una volta dismessa questa funzione, venne riconvertito per fronteggiare l’emergenza rappresentata dagli esuli istro-dalmati, che abbandonavano la Jugoslavia titina. Negli anni Sessanta si pensò di utilizzarlo per i profughi provenienti dall’Europa centro-orientale, ma l’intendimento non ebbe operativo riscontro. Negli anni Ottanta nuovo tentativo di ripensare il comprensorio, assegnando a esso una sezione distaccata delle carceri del Coroneo, anche questo non andò in porto sebbene si notino le sbarre alle finestre di alcune baracche.
Dall’Altopiano al centro, dove Elisa Lodi ha eseguito un sopralluogo nel bel palazzo neoclassico di via dell’Università 7, a fianco di palazzo Artelli (chissà se Invimit lo avrà venduto). Il palazzo fu costruito alla metà dell’Ottocento e negli anni Venti del XX secolo il Comune proprietario definì una convenzione con la nascente Università affinché fosse destinato a sede di studi. Compito espletato fino a quasi vent’anni fa. Il Comune sta riflettendo, insieme a Università e Ardis, sulla possibilità di farne uno studentato, pista - precisa la Lodi - ancora tutta da percorrere.