«L’Italia vuole davvero risolvere il problema dell’immigrazione? Io non posso certo rispondere al posto delle istituzioni italiane ma se guardiamo alla realtà delle cose la risposta è “no”». Non usa mezzi termini, Abdul Hadi Al-Huwej, ministro dell’Immigrazione ai tempi di Gheddafi, responsabile degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale durante il governo al-Thani di Bengasi, fino al 2021, e candidato alle presidenziali del Paese africano. Panorama lo incontra a Roma, a margine della presentazione del libro di Michelangelo Severgnini L’Urlo sul «patto» tra milizie libiche e Stati europei in funzione anti-immigrazione. È un fiume in piena. «Il problema in Libia non è politico ma di sicurezza e riguarda la diffusione delle armi. Quelle in possesso di gruppi militari, milizie, specialmente nella parte ovest del Paese, quella dove la cosiddetta comunità internazionale, cioè l’Occidente, ha insediato un governo di unità nazionale. Proprio là dove opera la Guardia costiera libica che Italia e Ue continuano a finanziare. Secondo voi è un caso che nonostante gli sforzi i migranti continuino a partire soprattutto da qui?». Nel 2018 il vostro Paese ha ceduto a Tripoli 12 unità navali, partecipa alla formazione del personale ed è presente in loco con una nave della Marina militare inserita nel dispositivo «Mare sicuro». Secondo quanto documentato dall’Onu così come da vari media, questa Guardia costiera sarebbe ancora in mano a ricercati come Al Bija e Ahmed Omar.
Intende dire che la Guardia costiera, per cui il governo Draghi solo a fine luglio ha stanziato 12 milioni di euro, è collusa?
L’esito è davanti a voi e lo conoscete bene. È forse diminuito il flusso di migranti dalla Libia all’Italia? Ad agosto sono partiti 15 mila migranti. Ma questi sono solo i numeri ufficiali. Purtroppo Tripoli è in mano alle milizie e il traffico di uomini è un modello di business che fa comodo anche al governo locale, insieme al traffico di armi e a quello del petrolio che viene saccheggiato e contrabbandato all’estero. Di recente, durante il contrabbando di un cisterna di carburante più di 30 persone sono morte a Bint Bayah. Non abbiamo sentito appelli dell’Italia o degli altri Stati europei per aiutare i libici.
Lei è di Tripoli ma vive a Bengasi, sotto il Governo di stabilità nazionale (Gsn) di Fathi Bashagha che ha la fiducia del Parlamento di Tobruk, ma che non è riconosciuto dalla comunità internazionale. Siete una parte in causa, nello scontro. Come gestite il fenomeno dell’immigrazione verso l’Europa?
Stiamo ai fatti. Nonostante almeno mezzo miliardo di euro di aiuti negli ultimi quattro anni - stanziati dai membri della Ue tra cui l’Italia - nella parte occidentale della Libia decine di migliaia di migranti hanno continuato a partire e ad annegare nel Mediterraneo. Da noi invece, anche se la Guardia costiera non è supportata da programmi europei di cooperazione, si imbarcano molti meno migranti. Perché il Gsn ha un maggiore controllo del territorio e fa rispettare le leggi. La differenza si nota anche nei centri di accoglienza. Le condizioni umanitarie sono accettabili. Venite a verificare.
Il Gsn è difeso dall’esercito nazionale libico guidato da Khalifa Haftar ed entrambi hanno il sostegno dei russi. Nelle scorse settimane era uscita la notizia secondo cui i migranti partiti da Bengasi sarebbero stati inviati da Vladimir Putin. Lei che cosa dice?
Sorrido a questa notizia... Piuttosto si dovrebbe parlare dei terroristi che arrivano qui dalla Siria attraverso la Turchia e che sappiamo essersi già infiltrati nel sud dell’Europa, forse anche in Italia. Siamo stanchi, la Libia è per i libici e le forze straniere, terroristi ma anche i mercenari russi della Brigata Wagner dovrebbero andarsene.
Secondo Yousef Al Aqouri, presidente della commissione Affari esteri del parlamento di Tobruk, non solo i fondi inviati dal governo italiano finiscono tutti a Tripoli, ma non possiamo nemmeno essere sicuri che vengano effettivamente utilizzati per attività legate all’immigrazione.
Non abbiamo informazioni in merito, il governo di Tripoli non è soggetto all’autorità del parlamento e non c’è alcun controllo su di esso. Non ci sono garanzie che questi fondi vengano destinati agli obiettivi per i quali sono stanziati ed è probabile che vadano a finire a partiti e gruppi armati sospetti.
Come se ne esce, secondo lei?
Se si vuole bloccare la tratta degli esseri umani, frenare il contrabbando del petrolio e frenare il caos delle armi, occorre ripristinare un legittimo Stato libico in tutto il territorio. Non in una prospettiva di sicurezza bensì di sviluppo. Per le aziende che vogliano investire a Bengasi la porta è aperta. Anche per l’acquisto di gas e petrolio dato che la maggior parte dei giacimenti petroliferi si trova proprio qui. Continuare a pensare la Libia come se fosse solo il guardiano dei migranti per l’Europa è inaccettabile. Il nostro Paese è molto più di questo.