Agli enigmisti piace: trova le differenze. Se il futuro dell’Italia è un dolente rebus certificato dal Fondo monetario internazionale che indica noi e la Germania come unici Paesi in recessione nel 2023, ecco una domanda: da chi e quando è stata pronunciata questa frase? «I salari italiani in termini reali e al netto delle tasse sono fermi a 15 anni fa, ma sarebbe un errore innescare una spirale inflazionistica: la stabilità dei prezzi è il prerequisito per la crescita». È uno dei passaggi dell’intervento di Mario Draghi all’assemblea dell’Abi, l’associazione delle banche. Ha proseguito: «Contrastando il rialzo dell’inflazione (con aumenti dei tassi di interesse) si difende il reddito delle famiglie e si contribuisce a evitare il rischio che i rialzi dei prezzi internazionali dell’energia e dei prodotti alimentari diano l’avvio, all’interno dell’area euro, a una rincorsa tra salari e prezzi». Era il 9 luglio del 2008 e l’attuale premier era al vertice della Banca d’Italia. Eppure sembrano considerazioni fatte ieri.
Così torna a farsi strada il dubbio se l’euro sia stato un buon affare assistendo all’Europa incapace di prendere qualsiasi decisione per frenare il caro bollette. C’è un’asimmetria: uniti nelle sanzioni che hanno determinato (in parte) la crisi energetica, tutti costretti a seguire la Bce nel rialzo dei tassi, ma ognuno per sé sui costi energetici. Ci si chiede se ha avuto senso svendere per 100 miliardi il patrimonio industriale pubblico per rincorrere un’unità europea dove gli Stati sfruttano l’emergenza gas come fattore di competitività (si veda la Germania che ha previsto un piano da 200 miliardi di euro di aiuti interni distorcendo così la concorrenza nel Vecchio continente dopo essersi fatta beffe per anni dei vincoli sul surplus commerciale). Con l’inflazione alimentare all’11,5 per cento, e con gli stipendi italiani che sono di un terzo inferiori a quelli tedeschi e sono gli unici diminuiti in 30 anni (meno 3 per cento), si mettono in dubbio le ricette economiche e le parole di Draghi.
È malessere sociale che sta montando. Romano Prodi, era il 1998, in una serie di lezioni di economia per le masse trasmesse dalla Rai aveva detto: «L’euro è proprio una molla che sta creando un continente unico, nella pace, senza guerre come i padri fondatori avevano sperato». L’euro che manca nelle tasche degli italiani come una molla sta caricando la sfiducia nell’Unione che si trova a vivere un’economia di guerra. Siamo arrivati al punto che, in alcune città, il pane costa 10 euro al chilo e manca letteralmente perché la scelta è tra vedersi staccare la luce o apparecchiare la tavola. E anche perché sono già saltati 5 mila forni sui 25 mila attivi: troppo alti i prezzi dell’energia, insostenibili quelli della farina, triplicati come il lievito. È nato in queste ultime settimane un movimento che si chiama «Io non pago». Ha debuttato sabato 8 ottobre in una ventina di piazze d’Italia dove sono state bruciate le bollette. Il fulcro è a Bologna dove è stato inaugurato il primo condominio «bollette free», una risposta di protesta al distacco della luce a un palazzo di Grugliasco dove sono rimasti al buio e al freddo. I «non pago» si raggruppano attorno al sito internet dell’Ascii (Associazione consumatori italiani internet, www.ascii.it) dove è attiva una petizione contro il caro bollette. Nato sulla scorta di quello britannico I don’t pay agisce su diverse piattaforme, da Telegram a Twitter, e ha in Emilia-Romagna una leader: Franca Cervizzo, già consigliere comunale e candidata sindaco a Sassuolo, titolare del bar Suavitas Café. Predica: «Finché si può si paga, ma dopo non si venga a chiedere quello che non abbiamo, e chi deve, parlo di politica e istituzioni, si attivi per fare in modo che la rotta venga invertita».
Il movimento sta crescendo: aggrega artigiani, commercianti, unione inquilini; anche i sindacati. È già partita la caccia «al chi c’è dietro». I no vax? La destra? Gli anarchici antagonisti? Ci sono soprattutto gli italiani che non ce la fanno mentre si moltiplicano le manifestazioni di protesta: il 7 novembre si blocca la Sicilia, il 5 Napoli e la Campania e ci saranno pure i sindaci perché anche i Comuni si stanno spegnendo. Sempre per il 5 novembre si pensa a una manifestazione nazionale a Roma, a Milano o a Bologna. Se le strade sono al buio rischiano d’incendiarsi le piazze, almeno per il rogo delle bollette. L’idea del movimento «io non pago» è di arrivare entro il 30 novembre a un milione di adesioni per smettere di saldare gli importi. Entro novembre peraltro l’Arera - l’agenzia di controllo sull’energia - dovrà adeguare le tariffe del gas: la previsione è di un ulteriore aumento tra il 70 e l’80 per cento. Per molte imprese potrebbe essere la fine. E lo potrebbe essere anche per i raider del cibo a domicilio, che lavorano con una sorta di nuovo cottimo, esploso col Covid, con paghe da fame. Hanno scioperato i «fattorini» a Firenze dopo la morte di uno di loro - Sebastian Galassi - durante una consegna. Forse oggi questi ragazzi - ma non solo - sono gli ultimi degli ultimi.
Non c’è report di associazione di categoria che non sciorini numeri angoscianti. La Cgia di Mestre - l’associazione di artigiani e piccole imprese - stima che il governo di Giorgia Meloni appena insediato dovrà trovare 35 miliardi per evitare il disastro. «I rincari energetici del 2022 valgono 127,4 miliardi, cui vanno sottratti i 58,8 miliardi di sostegni erogati dal governo Draghi. Rispetto al 2021, il carico per famiglie e imprese è di 70 miliardi di euro. Per evitare centinaia di migliaia di fallimenti serve subito almeno la metà». Per Confcommercio ci sono 120 mila imprese del terziario che non arriveranno a fine anno (si calcolano 370 mila occupati). Carlo Sangalli, il presidente nazionale, ha aggiunto: «Per la pandemia abbiamo già lasciato sul campo 930 mila imprese, un ulteriore aggravio significherà la desertificazione del terziario».
Confindustria, che prevede crescita zero, col presidente Carlo Bonomi è ancora più drastica: «La questione energetica è una questione di sicurezza nazionale, salteranno centinaia di migliaia di posti di lavoro». Paolo Agnelli, presidente di Confimi, che ha fonderie di alluminio, ripete da mesi: «Servono prestiti garantiti dallo Stato: sono migliaia le aziende in fallimento. Siamo già oltre l’emergenza: è tempo di introdurre un commissario straordinario all’energia per liberare l’Italia da tutti i vincoli». L’Europa intanto è paralizzata dagli interessi contrastanti. L’esempio è Frans Timmermans, il vicepresidente olandese della Commissione: difende a spada tratta il Green deal, in parte alla base dei rincari e degli egoismi sull’energia, e però è anche il primo difensore del mercato TTF di Amsterdam che genera la speculazione sul gas. L’Istat certifica che tra il 2019 e il 2022 il metano è aumentato del 189 per cento, il gas liquefatto (l’alternativa al metano russo) del 775,9 generando deficit per il 9,8 per cento delle imprese che vale oltre il 20 per cento degli occupati.
Confartigianato stima che possono saltare un milione di aziende e tre milioni di lavoratori. Per primi bar e ristoranti che, per protesta, in molte città hanno inscenato cene a lume di candela e hanno esibito le bollette fuori dai locali. In due anni hanno perso 65 miliardi di fatturato. Un’ecatombe c’è stata tra le gelaterie e le lavanderie. Per le famiglie non va meglio. L’inflazione all’8,9 per cento (11,50 quella alimentare) non dà tregua. L’aggravio su una famiglia media per ora è di 2.956 euro su base annua di cui 1.211 per elettricità e gas, 940 per la spesa. Un sondaggio di Alessandra Ghisleri rivela che il 5 per cento degli italiani non pagherà le bollette e che l’82 per cento ha conti salatissimi.
Per Coldiretti, ai 5,5 milioni di italiani in povertà assoluta se ne aggiungono 2,6 milioni che chiedono aiuto per mangiare. Le file alle mense dalla Caritas s’allungano più che durante la pandemia Covid. È economia di guerra, appunto. Per Confcommercio da agosto i consumi sono calati dell’1,4 per cento al mese. Coop-Ipsos con l’indagine Fragilitalia rileva: «L’aumento dei prezzi costringe l’87 per cento degli italiani a ridurre o evitare i consumi di elettricità e gas, l’82 per cento evita lo shopping e i divertimenti».
La riduzione della spesa riguarda tutto: prodotti di elettronica (78 per cento), prodotti di bellezza, calzature e cultura (tutti e tre al 76 per cento). Nel carrello della spesa i salumi e la carne diminuiscono del 67 per cento seguiti dal pesce (64), dai formaggi (62), dai surgelati (58 per cento). Perciò il presidente di Lega Coop Mauro Lusetti parla apertamente di allarme sociale: «Lo vediamo dalla asimmetria con cui l’impatto degli aumenti colpisce i bilanci delle famiglie; i ceti più esposti stanno già tirando la cinghia, le preoccupazioni e l’angoscia già toglie loro il sonno. Ma è alla porta anche una crisi economica: occorrono politiche pubbliche di emergenza e coraggiose, perché il rischio è quello di un pericoloso avvitamento». Io non pago è solo l’inizio.