foto da Quotidiani locali
Montecitorio non è palazzo Madama. E non soltanto perché alla Camera i numeri della maggioranza sono diversi (e più ampi) di quelli del Senato, ma anche, se non soprattutto, perché l’elezione di Ignazio La Russa, giovedì 13 ottobre, ha lasciato il segno e Forza Italia non vuole, e forse non può, più strappare. Così, anche per la pattuglia dei deputati eletti in Friuli Venezia Giulia la mattinata di venerdì scorre, tutto sommato, più serena del previsto.
I primi ad arrivare a Montecitorio, causa vertice indetto da Matteo Salvini per serrare i ranghi, sono i leghisti convocati per le 9.30, un’ora prima dell’avvio della seconda seduta della legislatura.
Attorno alle 9, in Transatlantico, si vede la sottosegretaria Vannia Gava, tra le prime a materializzarsi alla Camera. Al bar-ristorante, poi, c’è il compagno di partito Massimiliano Panizzut che chiacchiera con Walter Rizzetto.
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Il deputato di Fratelli d’Italia dopo aver saltato la giornata d’inaugurazione per partecipare ai funerali di una zia è tornato nella serata di giovedì a Roma dove, tra l’altro, è cominciato ultimamente a circolare il suo nome per un posto al Governo. Non è un mistero che lui vorrebbe fare il presidente della Commissione Lavoro, ma qualcuno comincia a sussurrare anche di un possibile ruolo da sottosegretario. Sempre con la medesima delega.
Nel frattempo pare sereno e chiacchiera con un po’ tutti i colleghi reduci dalla passata legislatura. «Da quello che ho capito Forza Italia ha chiuso l’accordo sul ministero della Giustizia – osserva – per cui oggi dovremmo procedere spediti e senza patemi su Lorenzo Fontana». Avrà ragione. E mentre lo dice osserva Antonio Tajani che, alla buvette, discute a bassa voce con il braccio destro di Giorgia Meloni e cioè Guido Crosetto.
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Dall’Aula, intanto, esce Debora Serracchiani. Mascherina scura, abbinata alla giacca, è una delle poche a indossarla assieme al ministro della Salute Roberto Speranza, posizionato a pochi passi dal giardino di Montecitorio e vicino a una delle finestre.
Poco prima, l’ex presidente, ha comunicato l’intenzione del Pd di votare per Maria Cecilia Guerra, anche per contarsi dopo i sospetti e i veleni del Senato sul soccorso rosso a La Russa. «Spero che tutte le opposizioni ci seguano», spiega.
Andrà diversamente. Intanto attorno a Tajani si è accumulata una mezza dozzina di parlamentari. Manca un quarto d’ora all’inizio della seduta e i leghisti sono ancora in conclave. Dicono che Riccardo Molinari non abbia digerito la decisione di Salvini di puntare su Fontana. «Così ha dato al Veneto la presidenza della Camera – mormora un esponente del Carroccio – e può mandare al Governo solo lombardi».
La claque attorno a Tajani, nel frattempo, è diventata di una ventina di persone: non è dato sapere se interessate, o meno, agli Esteri. Serracchiani si è tolta la mascherina e parla con un collega, Speranza tiene stretta la sua Ffp2 bianca e resta sempre ai margini del transatlantico osservando tutti da distanza.
Dentro intanto si vota. Presiede sempre Ettore Rosato. Non ha nemmeno il tempo di aprire la seduta che dai banchi dell’opposizione si alza uno striscione con la scritta “No a un presidente omofobo pro Putin”.
Prontamente rimosso, non prima, però, che la meloniana Nicole Matteoni lo immortali, un po’ basita, in un’istantanea. È l’unico intoppo della giornata di votazioni. Dall’Aula sbuca Emanuele Loperfido, ancora a mezzo servizio dopo essersi tolto il gesso. Guarda la sua cravatta – sempre quella donata da Meloni alla prima riunione degli eletti -, osserva qualche collega che non la indossa e sorride.
«Vedi – indica il vicesindaco di Pordenone -? Noi friulani siamo ligi alle indicazioni. Ci dicono di mettere questa cravatta e lo facciamo. Qualcuno invece ha già sbracato».
Rosato comincia lo spoglio e Fontana supera lo scoglio del quorum diventando l’erede di Roberto Fico a Montecitorio, alle 12.02. Alla fine i voti saranno 222: più che sufficienti. Finisce così, la prima sessione settimanale della XIX legislatura con i parlamentari che, lentamente, lasciano Montecitorio per tornare a casa e ritrovarsi la prossima settimana per eleggere i vicepresidenti. Compreso Speranza, che non ha mai abbandonato la mascherina. Nemmeno per un minuto. —
(* inviato a Roma)
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