UDINE. «Serve un miracolo, altrimenti saremmo costretti a chiudere». Non usa giri di parole don Luciano Segatto. La parola chiusura, che fino a qualche tempo fa non veniva nemmeno pronunciata, oggi sembra invece una conseguenza ineluttabile del caro energia che ha travolto anche il Tomadini con bollette triplicate in meno di un anno.
Il presidente della fondazione le ha tentate tutte: «Ci eravamo appena messi alla spalle le conseguenze della pandemia dalla quale ci eravamo appena rialzati vendendo l’immobile ad uso scuola professionale – ricorda don Segatto, già parroco di Galleriano e professore di filosofia, che dal 1990 gestisce la struttura di via Martignacco – adesso mettiamo in vendita tutto il settore scuole che è costituito da due immobili, ma non so se basterà perché la situazione è veramente complicata».
Il problema è, ovviamente, l’impennata dei costi dell’energia che nel caso del Tomadini fa riferimento principalmente al gas. Nel 2012 la fondazione ha infatti investito 1 milione di euro per realizzare una centrale di cogenerazione ad alto rendimento per il risparmio e l’efficienza energetica. «Bruciando gas viene prodotta energia elettrica e riscaldiamo gli immobili, lo utilizziamo anche per l’acqua calda, senza non potremmo certo restare aperti», spiega don Segatto.
Il problema è che la spesa nel frattempo è lievitata. Le fatture per la fornitura di energia elettrica e gas da ottobre 2020 a marzo 2021 erano arrivate a 300 mila euro, saliti a 398 nello stesso periodo a cavallo tra lo scorso anno e quello in corso. Ma è la proiezione dei costi per l’inverno che sta arrivando che ha fatto scattare il campanello d’allarme: «Andremmo a spendere, se il prezzo del gas dovesse rimanere quello delle scorse settimane, un milione e 89 mila euro», spiega il direttore della Fondazione, Luca Rui.
Una somma che rischia di mandare all’aria il bilancio dell’istituzione udinese, che in quanto ente senza scopi di lucro è tenuta a redistribuire gli utili a conclusione di ogni esercizio finanziario. «Non abbiamo capitali accantonati e di certo le rette non saranno sufficienti a coprire i costi di gestione delle strutture», precisa don Segatto.
Da qui l’appello: «Serve un miracolo – ripete – un ente benefico, un imprenditore illuminato o una persona facoltosa per una corposa erogazione liberale, a fronte della quale il Tomadini, oltre alle preghiere in perpetuo, intesti il centro sportivo o le palestre».
Il presidente della fondazione si è rivolto anche alle istituzioni: «Sembra che qualcosa si muova, specie in Regione che è sempre stata attenta alle sorti del Tomadini – auspica don Segatto –. Ma purtroppo i tempi della burocrazia sono quelli che sono e il nostro fornitore non sembra disposto ad aspettare. Avevamo già accumulato un debito per i rincari che si sono verificati da ottobre dell’anno scorso e non è stato facile onorare le rate del piano di rientro. Se avessimo saputo prima a cosa andavamo incontro avremmo potuto sospendere le iscrizioni per il nuovo anno, ma adesso abbiamo già raccolto più di 220 adesioni e tutto fa presagire che registreremo il tutto esaurito».
Il problema è che quegli oltre 200 studenti rischiano di rimanere senza alloggio e i 23 dipendenti della fondazione senza lavoro. «Lo scenario purtroppo è quello», conferma amareggiato don Segatto.
L’istituto, nato come orfanotrofio in centro città, nella prima metà del 1800 per iniziativa del fondatore monsignore Francesco Tomadini, si è trasferito in via Martignacco nel 1971 diventando un convitto con centro sportivo dotato di piscina e spazi esterni. Che oggi rischia di chiudere.