C’è un’immagine che meglio di qualsiasi altra restituisce in purezza la figura di Bruce Nauman: è l’opera Self Portrait as a Fountain (1966), un autoritratto fotografico dell’artista su fondo nero che mostra le sue fattezze di bel ragazzo come un busto classico intento a far zampillare dalla bocca uno spruzzo d’acqua, imitando una fontana. Ci sono più o meno tutti i paradigmi dell’arte di Nauman in quel giocoso ritratto giovanile che però, come tutte le grandi opere, rivela assai di più sotto l’apparente levità del gesto, parlandoci di scultura, corpo, tempo e spazio. 

Ha da poco inaugurato al Pirelli Hangar Bicocca di Milano la grande mostra intitolata Neons Corridors Rooms che raccoglie alcune delle opere più importanti di Nauman, concentrandosi in particolare su quel segmento della sua produzione che vede il dispositivo artistico del “corridoio” come centrale nella sua poetica. 

Bruce Nauman Hangar Bicocca

Bruce Nauman nel suo studio a Pasadena, California, 1970 ca. Courtesy Museum of Contemporary Art San Diego e Frank J. Thomas Archives Foto Frank J. Thomas

Nauman è nato a Fort Wayne, Indiana, nel 1941, inizialmente i suoi studi furono rivolti alla matematica e alla musica per poi concentrarsi sull’arte. Nel 1967, per la prima mostra personale a New York, espone alla già leggendaria galleria di Leo Castelli. Tra i lavori spicca un’opera composta da tubicini al neon come se fossero esili pioli di una scala, intitolata Neon Templates of the Left Half of My Body Taken at Ten Inch Intervals (1966).

I tubi al neon erano in quegli anni molto diffusi nei lavori degli artisti del concettuale e del minimal, e Nauman per primo utilizza quei messaggi di luce desacralizzandone però il tono di mistico e di severo concettualismo di autori coevi come Dan Flavin e Joseph Kosuth, realizzando opere sottilmente o grottescamente ironiche, come la celebre spirale The True Artist Helps the World by Revealing Mystic Truths (1967): una frase tanto profonda quanto ridicola con la quale l’artista sembra voler prendere le distanze da una certa solennità di cui l’arte concettuale più dry si ammantava in quel periodo. 
Ecco: prendere le distanze. Tutta l’arte di Bruce Nauman in fondo parte metaforicamente, ma anche letteralmente, da questa attività che ha a che fare con il misurare la distanza tra sé stessi e le cose, trasformare il proprio corpo mondandolo da ogni velleità, in uno strumento di misurazione del mondo. 

Bruce Nauman Hangar Bicocca

Bruce Nauman *The True Artist Helps the World by Revealing Mystic Truths (Window or Wall Sign)*, 1967 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Edizione di 3 \+ P.A. Kunstmuseum Basel, purchased in 1978 © 2022 Bruce Nauman / SIAE Courtesy l’artista; Sperone Westwater, New York, e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

All’inizio della sua carriera partendo dalla povertà di mezzi che l’artista aveva a disposizione, Nauman usa sé stesso per fare arte, portando tutto ad una assoluta semplicità del gesto che però racchiude l’enorme potenziale di una riflessione quasi zen. Walking in an Exaggerated Manner Around the Perimeter of a Square (1968) ad esempio, è uno dei suoi primi esperimenti in 16mm, dove l’artista si filma mentre cammina ponendo un piede davanti all'altro, muovendosi avanti e indietro con una pronunciata oscillazione dei fianchi, attorno al bordo di un quadrato di nastro adesivo fissato al pavimento del suo studio. Invece di assicurarsi che segua i suoi movimenti, l'artista lascia la cinepresa fissa in un punto, di conseguenza, a volte scompare fuori dallo schermo mentre percorre le parti del perimetro al di fuori dell'inquadratura. 

Questo ed altri esperimenti simili fanno capire quanto l’antropometria dell’artista sia centrale per instaurare con lo spazio un rapporto di scoperta, e di ri-centratura, quasi fosse una versione dell’uomo vitruviano del Ventesimo secolo che però dialoga anche con il tema del visibile e dell’invisibile.

Spesso in questa grande mostra, perdendosi nei vari ambienti, si ha la sensazione di una limitazione del nostro sguardo oppure improvvisamente di un’esplosione del punto di vista, riverberata o sdoppiata dai dispositivi di videosorveglianza che ci mostrano corpi di altri visitatori che altrimenti non vedremmo. 

Il corridoi di Nauman sono strumenti del tutto particolari, che vivono sia del tempo presente, quello della partecipazione del visitatore che di quello passato; il tempo in cui Nauman ha con il suo corpo misurato uno spazio che si trovava altrove o che non esiste più. Nel 1968 Bruce Nauman è a Southampton, New York, e lì ha la possibilità di lavorare negli studi svuotati degli artisti Roy Lichtenstein e Paul Waldman. In quell’occasione filma Walk With Contrapposto (1968) che vede Nauman intento a strisciare lungo uno stretto corridoio, assumendo la posa del ‘contrapposto’ mutuata dalla statuaria greca, con braccia piegate e mani appoggiate sui fianchi sporgenti. Quello che per i greci era un modello che conciliava dinamismo e staticità, Nauman lo ha assunto come uno sforzo fisico da compiere per ridefinire lo spazio e insieme invalidare i canoni estetici classici. Successivamente, Nauman espose quel corridoio (due semplici pareti in legno e cartongesso) Performance Corridor (1969) dando anche agli spettatori la possibilità di ripetere le sue gesta, e per quanto la cosa possa sembrare semplice chi vi si cimenterà, anche oggi nella mostra da Hangar Pirelli, si accorgerà di quanto sforzo è richiesto per compiere quel breve tragitto. 

L’esperienza di questi augusti spazi può essere claustrofobica, escludente (bisogna essere assai magri per attraversarne alcuni), angosciante persino; quando questi rimandano nella loro asciutta semplicità a strutture coercitive (Double Steel Cage Piece del '74 ne è un esempio) o quando la sensazione di essere controllati da videocamere alimenta l’immaginario paranoide. In tutti i casi però l’arte di Nauman genera tra il pubblico un sentimento di complicità e ridisegna la prossemica all’interno dello spazio espositivo. 

Bruce Nauman Hangar Bicocca

Bruce Nauman “Neons Corridors Rooms”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 © 2022 Bruce Nauman / SIAE Courtesy l’artista; Sperone Westwater, New York, e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Sarà pure una coincidenza ma la ricerca di Nauman con i corridoi comincia nel 1968, lo stesso anno dell’uscita al cinema di 2001: Odissea nello spazio. Com’è noto, nel film di fantascienza, la sequenza più celebre mostrava per la prima volta al pubblico l’attraversamento dello spazio-tempo nella celebre sequenza conosciuta come Stargate corridor; percorrendo Green Light Corridor (1970) uno strettissimo passaggio, illuminato da neon verde, si ha la sensazione che lo spazio si annulli e il tempo si dilati, poi, quando si esce dopo essere stati immersi in quella luce, la nostra percezione cromatica appare alterata per qualche secondo. In uno dei suoi progetti incompiuti, Utitled (1969), Nauman immaginava addirittura un’installazione dove «Una persona entra e vive in una stanza per un lungo periodo – anni o anche una vita» poi, con una complessa rete informatica Nauman immaginava lo sdoppiamento dell’immagine riflessa del visitatore all’interno del luogo «Dopo un certo periodo, il tempo nella stanza riflessa inizia a rallentare rispetto al tempo nella stanza reale finché dopo un numero di anni la persona non riconoscerà più il suo rapporto con l’immagine riflessa». Tale progetto, evidentemente impossibile da realizzare, sembra un’eco dell’ultima sequenza del capolavoro di Kubrick ma dialoga anche con la sperimentazione di musicisti come Alvin Lucier che in performance come I Am Sitting in a Room (1969) lavorava sulla dilatazione dello spazio e del tempo generata tramite i riverberi sonori.

Bruce Nauman Hangar Bicocca

Bruce Nauman *Green Light Corridor*, 1970 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Solomon R. Guggenheim Museum, New York, Panza Collection, Gift, 1992 (92.4171) © 2022 Bruce Nauman / SIAE Courtesy l’artista; Sperone Westwater, New York, e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Anche in Nauman il suono rappresenta un elemento fondamentale, persino strutturale per capire l’architettura di alcune sue composizioni. Nel 2001 l’artista presentò il monumentale video-installazione, qui riproposta nel cubo di Hangar Bicocca, intitolata Mapping the Studio 1 (Fat Chance John Cage). Nello spirito del compositore americano Cage, Nauman ha creato un esperimento di videosorveglianza notturna del suo studio nel New Mexico dove l’artista si è ritirato a vivere e lavorare già dal lontano 1979 , consentendo al video di registrare sia il suo vuoto che le attività notturne dei piccoli animali che abitano il luogo durante l’assenza di Nauman. Dopo aver ‘mappato’ tali attività, l’artista ha meticolosamente annotato al timecode le loro apparizioni e ha iniziato a lavorare scomponendo le sequenze e ricomponendole come un brano visivo e immersivo, tramite 7 videoproiezioni simultanee, dove le varie scene hanno però ora colori diversi e appaiono talvolta ruotate di 90 e 180 gradi.

La mostra di Hangar Bicocca, che ha visto impegnati sette curatori e musei come Tate Modern di Londra e lo Stedelijk di Amsterdam, rappresenta un’occasione preziosa per confrontarsi con una parte così significativa della produzione di quello che, senza dubbi, è l’artista vivente che più di ogni altro ha influenzato generazioni di artisti e autori e ha ridefinito con il suo lavoro i perimetri stessi dell’arte. 

Bruce Nauman

Neon Corridors Rooms

A cura di Roberta Tenconi e Vicente Todolí
con Andrea Lissoni, Nicholas Serota, Leontine Coelewij, Martijn van Nieuwenhuyzen e Katy Wan 

Mostra organizzata da Pirelli HangarBicocca, Tate Modern, Londra e Stedelijk Museum Amsterdam 

Fino al 26.02.2023