A Montebello “Il Signore delle formiche”, tratto da una storia vera del 1968. Il regista: «Ho voluto raccontare la violenza e l’ottusità della discriminazione»
Nel 1968 a Roma, dopo quattro anni, un processo arrivò a conclusione facendo scalpore. Il drammaturgo e poeta Aldo Braibanti fu condannano a nove anni di reclusione con l’accusa di plagio, cioe di aver sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, Giovanni Sanfratello, un suo studente e amico da poco maggiorenne. È questa vicenda che il regista Gianni Amelio ha deciso di ripercorrere ne “Il signore delle formiche”, il film che stasera sarà presentato in Concorso alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia e che da giovedì 8 settembre sarà programmato al The Space di Montebello.
Sanfratello – che nel film si chiama Ettore ed è interpretato dall’attore esordiente Leonardo Maltese – per volere della sua famiglia, venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico e sottoposto a una serie di devastanti elettroshock, perché guarisse da quell’influsso “diabolico”, secondo l’accusa messo in atto da Braibanti (che ha il volto di Luigi Lo Cascio). Il letterato – che alla fine, dopo aver fatto ricorso in appello, scontò due anni di carcere (due gli furono condonati perché partigiano della Resistenza) – vide schierarsi apertamente dalla sua parte importanti uomini della cultura come Alberto Moravia, Elsa Morante, Umberto Eco e Pier Paolo Pasolini. Alcuni anni dopo, il reato di plagio venne cancellato dal codice penale: un reato che in realtà fino ad allora era servito per mettere sotto accusa i ‘diversi’ di ogni genere, i fuorilegge della norma.
Prendendo spunto da fatti realmente accaduti, “Il signore delle formiche” racconta una storia a piu voci, nella quale, tra accusatori e sostenitori e un’opinione pubblica indifferente, solo un giornalista (Elio Germano, che ritrova Amelio dopo “La tenerezza”, 2017) s’impegnò a ricostruire la verita, affrontando sospetti e censure.
«Questo è un film sulla violenza e l’ottusita della discriminazione – ha dichiarato Gianni Amelio – L’amore sottomesso al conformismo e alla malafede. Uno spaccato della provincia italiana nei cruciali anni 60, quando il benessere economico non andò di pari passo con l’intelligenza delle cose, con l’apertura dei sentimenti". Per il regista questa vicenda cosi continua a mostrare aspetti inquietanti anche oltre mezzo secolo di distanza: "Nella sostanza non e cambiato molto: dietro una facciata permissiva, i pregiudizi esistono e resistono ancora, generando odio e disprezzo per ogni ‘irregolare’. Questo film vuole infondere il coraggio di ribellarsi».giacomo aricò