PADOVA. «A causa degli aumenti esponenziali che stiamo subendo su materie prime, costi dei trasporti, energia elettrica e combustibili – solo per citare i più significativi – ci troviamo costretti ad aumentare i prezzi dal primo settembre». Così la pasticceria bar Grazia, di Chiesanuova, giovedì mattina ha avvisato i propri clienti degli aumenti apportati al listino prezzi.
E così i rincari, dopo aver coinvolto i locali del centro, arrivano anche in periferia. «Avvisare era doveroso», spiega Giorgio Suarez, dipendente del locale. «La prima reazione è stata di sorpresa, ma i nostri clienti – in gran parte affezionati – si sono mostrati disponibili e comprensivi. Ritoccare i prezzi è stato inevitabile perché sta aumentando tutto: dalle materie prime alle bollette. La maggior parte delle persone che vengono da noi sono fissi e fedeli e noi cerchiamo di coccolarli: il giorno del compleanno gli offriamo la colazione o l’aperitivo e io, che sono cubano, faccio il vero mojito ed un ottimo cuba libre».
Cortesia e servizio oggi possono fare la differenza tra mantenere o perdere la clientela. Il boom dei prezzi fa passare la voglia del caffè al bar: al banco la tazzina è arrivata a costare tra 1,10 euro e 1,50 euro, seduti al tavolo anche 2 euro. E i pronostici sono bui: «Per fine anno il prezzo medio del caffè al banco si attesterà a 1,50 euro», rivela Filippo Segato, segretario dell’Associazione provinciale pubblici esercizi (Appe). «Gli aumenti sono fuori controllo e gli esercenti hanno delle responsabilità: nei confronti dei dipendenti, dei proprietario quando c’è un affitto da pagare, dei fornitori». L’alternativa è chiudere e anche su questo fronte ci sono brutte notizie: «Per fine anno temiamo chiuderà il 15-20% dei locali nel Padovano – aggiunge Segato – parliamo di 600 attività e 2.200 posti di lavoro che andranno persi. Noi non aumentiamo i prezzi ogni settimana, come può fare un supermercato, ricordiamo che una volta ritoccati i listini – e parliamo di 5-10 centesimi – restano uguali per 6 mesi un anno. Inoltre tanti locali propongono gli abbonamenti che ti fanno risparmiare un caffè o 10-15 centesimi».
Oltre alla gentilezza dei titolari, che provano a calmierare emotivamente gli aumenti, ci sono i servizi correlati alla famosa tazzina di caffè: «Il concetto è che i clienti sono il patrimonio dell’esercente e fare qualcosa che li allontani è l’ultima cosa che vogliamo», aggiunge Segato, «del resto noi non serviamo solo il caffè o il panino, ma assicuriamo l’aria condizionata, il riscaldamento, il bagno, il quotidiano, l’informazione quando serve. Oggi i costi energetici ci costano quanto uno stipendio e siamo arrivati a situazioni paradossali, come un ristoratore che non ha chiamato i camerieri del fine settimana cercando di risparmiare sui costi e ha dovuto rinunciare a degli ordini e dunque a dei guadagni: siamo un settore in cui rinunciare al dipendente significa non lavorare».
A preoccupare soprattutto le bollette: «Una situazione del genere non la ricordiamo dagli anni ’70, l’inflazione così alta dal 1985, lo scollamento è quello degli anni della pandemia e non sappiamo nemmeno con chi arrabbiarci: il risultato è un misto di frustrazione, rabbia e clima di grande paura. A livello psicologico siamo tornati indietro, con la differenza che con il Covid almeno c’erano i ristori, mentre adesso puoi contare massimo sul 15% del credito di imposta della quota energia dopo che hai pagato tutte le tasse».elvira scigliano