«Non posso pensare che Joey abbia 22 anni. Ovunque sia, spero che tutti i suoi sogni si stiano realizzando». La vicenda è ricostruita nel film Il mostro di Cleveland, in questi giorni in onda su Netflix. 

Non passa giorno che Michelle Knight non pensi a suo figlio. Non lo vede da quando il piccolo aveva due anni. Non per colpa sua: il 22 agosto del 2002 è stata rapita da un mostro che l'ha tenuta prigioniera per undici anni. Michelle è una delle vittime di Ariel Castro, l'uomo di Cleveland, nello Stato americano dell'Ohio, che tra il 2002 e il 2013 rapì e tenne prigioniere tre ragazze. 

Il rapimento di Michelle Knight

La prima a essere rapita è proprio Michelle Knight. Ha 21 anni, da bambina sognava di fare il pompiere. Ma è alta solo un metro e 40, i compagni di classe la prendono in giro. A diciassette lascia la scuola perché vittima di bullismo, poi rimane incinta e nasce Joey. Peccato che un giorno del 2002, uno dei fidanzati di sua madre, un uomo violento, colpisce il bambino. I servizi sociali lo portano via. Michelle chiede che il piccolo le venga riaffidato, spera di convincere i giudici che può crescerlo da sola. L'appuntamento viene fissato per il 22 agosto 2002, ma la macchina di Michelle non parte. La ragazza si rassegna a raggiungere il tribunale di Cleveland a piedi.

Un'auto l'affianca: «Serve un passaggio?». Alla guida c'è un quarantenne portoricano, Ariel Castro, papà di una sua amica. «Mi sono fidata perché conoscevo sua figlia», racconterà Michelle. Invece di accompagnarla a destinazione, con la scusa di regalarle un cagnolino per suo figlio, l'uomo la convince a fare prima una tappa a casa sua, al numero 2207 di Seymour Avenue. Michelle accetta, ma appena arrivati il mostro l'aggredisce, la stupra, la chiude in una stanza, legata al letto con una catena. 

Il sequestro di Amanda Berry

Per otto mesi Michelle resta sola in balìa di Ariel Castro, che le dà da mangiare avanzi e una volta a settimana le permette di farsi una doccia insieme a lui. Intanto, il tribunale dà suo figlio in adozione. La madre di Michelle prima denuncia la scomparsa e poi si convince che la ragazza è scappata per sfuggire alle sue responsabilità di madre single: smette di cercarla.

Il mostro la deride: «Nessuno ti cerca, non vali niente». Un giorno Castro arriva con un vecchio televisore: «Guarda cosa ti ho portato». Al telegiornale parlano di una ragazza scomparsa: si chiama Amanda Berry, ha diciassette anni ed è sparita il 21 aprile del 2003 mentre tornava a casa a piedi dopo aver lavorato al Burger King. Anche a lei Castro, che è il padre di una sua conoscente, ha offerto un passaggio. Dopo averla tenuta per tre giorni legata in cantina con la bocca tappata e in testa un casco da motociclista, l'ha chiusa in una stanza diversa da quella dove tiene Michelle. «Molto tempo dopo averla rapita ci ha fatte incontrare per pochi attimi», racconta quest'ultima, «Lei mi ha detto: sono Amanda Berry. Le ho risposto: lo so, ti ho vista in tv».

La cattura di Gina DeJesus

Un anno dopo, il 2 aprile 2004, arriva un'altra vittima: Georgina “Gina” DeJesus, 14 anni, amica della figlia più piccola di Castro, Arlene. «Eravamo uscite da scuola», racconterà Gina, «avremmo voluto trascorrere il pomeriggio insieme, ma la mamma di Arlene le ha chiesto di tornare da lei. Mi sono avviata a piedi». Ariel Castro l'ha fermata: «Mi aiuti a cercare mia figlia?», e lei è salita in macchina.

Ora, in quella casa orrenda le prigioniere sono tre. Fuori, i genitori di Amanda Berry e Gina DeJesus fanno fiaccolate e lanciano appelli in tv per ritrovarle. Nessuno, invece, cerca Michelle Knight.

Le giornate sono interminabili: ogni giorno il mostro prende una di loro e la porta al piano di sotto. Per cinque volte Michelle resta incinta: «Mi ha fatto abortire a calci e pugni». Poi anche Amanda scopre di aspettare un bambino: «Avevo paura che picchiasse anche me», dice. Invece Castro è felice: «Diventeremo una famiglia». Quando arriva il momento, costringe la ragazza a partorire in una piscina di plastica per non sporcare il letto o il pavimento. Minaccia Michelle: «Se qualcosa va storto, ti uccido». Nasce una bambina, Jocelyn.

Le confessioni del mostro, la fuga

Man mano che la piccola cresce, Castro allenta la morsa: arriverà a togliere le catene a tutte e tre le ragazze, che però sono così soggiogate da non tentare più la fuga. «Sono anch'io una vittima», dice un giorno Castro ad Amanda, «quando ero bambino, un vicino di casa abusava di me. Ho sempre sognato una famiglia felice, ma mia moglie mi ha lasciato». Non le dice, però, che lui massacrava la donna di botte. Invece aggiunge: «Ho un problema di dipendenza sessuale, ma sono un brav'uomo». Poi, il 6 maggio del 2013 il mostro dimentica di chiudere a chiave la stanza di Amanda. Se ne accorge la bambina, che ormai ha sei anni: «Papà è uscito», urla. «Pensavo che fosse un tranello», dirà Amanda, «Castro ci metteva alla prova: se tentavamo di scappare, ci massacrava di botte». Ma si fa coraggio, scende le scale. Lui non c'è per davvero, la porta di casa però è chiusa. Amanda riesce a infilare un braccio in una fessura, urla più forte che può: «Aiutatemi». Alcuni vicini la sentono, uno forza la porta, la ragazza prende in braccio sua figlia e scappa. Lancia l'allarme. 

«Fatemi riabbracciare mio figlio»

«Ci hanno portate in ospedale. Il giorno dopo Amanda e Gina sono tornate a casa», racconta Michelle, «io stavo male, volevo solo rivedere mio figlio». Ma il bambino è stato adottato e la nuova famiglia rifiuta di farglielo riabbracciare. Alla fine lei rinuncia a fare causa: «Non volevo turbare la vita di Joey. Spero che un giorno venga a cercarmi. Dopo che mi hanno liberata, ho cambiato nome: ora mi chiamo Lily Rose Lee, ho un compagno, tanti animali e aiuto le donne vittime di violenza». Anche le sue compagne di prigionia si sono rifatte una vita: si sono diplomate, Amanda ha condotto su Fox un programma dedicato alle persone sparite e Gina ha aperto un centro dedicato agli scomparsi. La piccola Jocelyn è cresciuta lontano dai riflettori.

E Ariel Castro? Condannato all'ergastolo e a più di mille anni di carcere senza possibilità di libertà condizionale, il mostro di Cleveland si è impiccato in carcere.