A cinque anni dall’omicidio di Noemi, la madre lancia accuse contro le istituzioni: «Sono stata più volte dai carabinieri, mi dissero che serviva una nota del giudice»
«La legge non tutela davvero le donne che denunciano. E quanto accaduto a Bologna, con l’ennesimo femminicidio, ne è un’ulteriore e drammatica conferma». Imma Rizzo è la mamma di Noemi Durini, sepolta viva a 16 anni, sotto un cumulo di pietre nelle campagne leccesi. Era il 2017. «Picchiata e accoltellata» dirà l’autopsia. Il corpo venne trovato dopo dieci giorni dalla scomparsa. Fu il fidanzato, minorenne come lei, ad indicare, dopo un lungo interrogatorio, dove l’aveva nascosto. E ora parlare di Alessandra Matteuzzi, uccisa dal suo ex compagno che aveva denunciato per stalking, significa scavare in una ferita aperta. «Ogni giorno una donna muore per mano di un uomo». Imma ha altre due figlie, a loro insegna soprattutto il valore del rispetto. «Sentivo che nel ragazzo di Noemi c’era qualcosa che non andava, poi arrivò anche a picchiarla. Ho detto tutto ai carabinieri, più volte. E, dopo qualche mese, si è trasformato nel suo assassino». Il 3 settembre saranno passati cinque anni dalla morte della ragazza salentina, originaria di Specchia. «Nessuno ha fatto niente per fermarlo, nonostante i miei appelli. Siamo state abbandonate». Lucio Marzio- all’epoca dei fatti minorenne e reo confesso- è stato condannato con sentenza definitiva a 18 anni e 8 mesi di carcere, mentre Imma ha cercato di trasformare il dolore in forza, la rabbia in testimonianza.
Che effetto fa sentir parlare con questa frequenza di uomini che si trasformano in carnefici?
«Da quando mia figlia è morta, guardo poco la tv. Fa male ascoltare queste notizie che sono ormai all’ordine del giorno. Lo Stato dovrebbe intervenire subito. Nel mio caso non è successo. Eppure parlavamo delle richieste di una mamma e, per di più, su una minore. Inascoltate. Sono stata più volte dai militari e i miei segnali d’allarme sono caduti nel vuoto. Soltanto dopo, ho saputo che - prima del delitto - il suo fidanzato era stato sottoposto anche a trattamenti sanitari obbligatori. Si arrabbiava senza motivo, iniziò anche a minacciarmi, diceva che voleva stare con Noemi e non dovevo intromettermi. “Fatti i fatti tuoi”. Poi le alzò anche le mani e i carabinieri mi dissero che bisognava aspettare una comunicazione formale da parte del giudice. Alla luce di quanto accaduto, ho deciso di denunciare l’intera caserma. Sono stata anche a Potenza, chiamata a testimoniare. Poi so che ci sono state verifiche del Csm e l’invio di ispettori, in quel periodo, da parte del ministro della Giustizia Andrea Orlando. Ma, ad oggi, non credo abbiano portato a nulla. E nessuno mi ha mai chiesto scusa».
Come si sente?
«Sono 5 anni senza Noemi. Mi chiedo dov’erano le istituzioni. Io ho sempre sostenuto che il fidanzato non può aver agito da solo. Inizialmente sono stati indagati anche i suoi genitori per occultamento di cadavere, ma poi la loro posizione è stata archiviata. Purtroppo, non è stato fatto tempestivamente ciò che andava fatto. Le mie richieste non sono state ascoltate ed è finita così».
Che ragazza era Noemi?
«Sempre solare, pronta ad aiutare chi era in difficoltà. Nella sua classe aveva legato molto con un compagno autistico. Quando i genitori dovettero spiegargli che era stata uccisa, per lui non fu facile. Mi regalò un disegno: lei era il sole che continuava a splendere. Poi ci sono i ricordi di vita insieme, tantissimi. Uno di questi, sembra incredibile, erano le nostre litigate. Sempre per lo stesso motivo, la imploravo di lasciare quel ragazzo con cui aveva una relazione. Ci arrabbiavamo, lei sapeva anche che avevo raccontato tutto alle forze dell’ordine. Poi facevamo pace, non mi diceva mai “ti voglio bene”, mi diceva “mamma ti amo”».
Con l’associazione “Casa di Noemi” sensibilizzate contro la violenza sulle donne. Soprattutto nelle scuole.
«Quando incontro i ragazzi è come vedere lei. A loro dico di denunciare e non aver paura. È un messaggio trasversale, sia per le donne sia per gli uomini. Ognuno deve essere libero di vivere la propria vita, il possesso non è amore. Nessuno deve ritrovarsi con il dito puntato per il modo di vestirsi o di truccarsi. Perché questa è già una limitazione che deve far riflettere. Alle vittime dico di trovare il coraggio di chiedere aiuto. Quando nascono un sorriso, delle lacrime o un abbraccio spontaneo, penso che forse sono riuscita a scuotere qualche coscienza e ho davanti giovani che vogliono costruire un mondo migliore. E allora penso che forse Noemi non è morta invano».