MANTOVA. «Noi donne abbiamo una marcia in più ma la differenza la fanno le competenze». Una mantovana nella giunta nazionale di Gruppo Donne Confimi: è Elisa Govi, presidente di Apindustria Confimi Mantova.
Presieduta dalla veronese Vincenza Frasca, la nuova giunta è composta anche dalle vicepresidenti Manuela Aloisi (Lecce, Brindisi Taranto) e Rachele Morini (Romagna), da Federica Mirandola (Verona), Alice Borsetto (Vicenza), Paola Marras (Monza Brianza) e Nicoletta Mezzadri (Cremona).
Presidente Govi, qual è il valore aggiunto di un’impresa al femminile?
«Il valore aggiunto dell’azienda al femminile sta nella diversità e nella capacità di esprimerla al meglio. Noi donne siamo diverse dagli uomini e abbiamo una marcia in più che ci viene dalla necessità di gestire più cose insieme. Le donne hanno visione ampia d’insieme, a livello organizzativo sono molto forti e applicano un vero multitasking» visto che «una donna che lavora deve dare il meglio in azienda e poi gestire anche una casa e la famiglia perché spesso l’uomo considera questo aspetto secondario».
Le quote rosa sono aumentate nelle aziende anche nel passaggio generazionale?
«È proprio così. Un tempo nascere donna voleva dire avere il destino segnato e nell’azienda di famiglia essere destinate a ruoli di secondo piano. Oggi invece è tutto cambiato, almeno nelle aziende di cui ho esperienza diretta. Penso alla mia impresa la Ciesse Paper di Borgo Virgilio dove ho avuto la fortuna di avere un padre che ha lasciato me e mio fratello liberi di sviluppare i nostri rispettivi talenti. Io mi sono fatta strada nell’amministrazione, nell’analisi di bilancio, nel controllo di gestione e nel rapporto con le banche. La forza delle aziende familiari sta nel valorizzare le competenze e le abilità di ciascuno, mettendo insieme i punti di forza».
Come gruppo Donne Confimi su cosa state lavorando a livello nazionale?
«Stiamo lavorando per far modificare la definizione di impresa al femminile. Stando ai dati di Unioncamere sono oltre un milione e 300 mila le imprese femminili in Italia, poco più di 1 su 5 (22%). Eppure, potrebbero essere molte di più. In Italia è considerata impresa femminile la società cooperativa e la società di persone, costituita in misura non inferiore al 60% da donne e la società di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore ai due terzi a donne e i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne. Questo recita la Legge 215/92 che però si scontra con la realtà produttiva ed economica del nostro paese composto per il 92% da pmi che sono per lo più a conduzione familiare, aziende e industrie che si tramandano di generazione in generazione, indistintamente a figlie e figli. Secondo una nostra indagine questa definizione è penalizzante nel nostro Paese: l’81% delle società di persone ha dei soci donna e in poco più di un’impresa su due (54%) le socie rivestono il ruolo di amministratore unico o presidente.
Ma c’è di più: in 9 aziende su 10 le donne rivestono ruoli apicali di responsabili amministrative (41%), responsabili commerciali (22%), responsabili acquisiti (22%), responsabile marketing e Hr (15%). Situazione analoga anche per le società di capitali, presenti in maggior numero all’interno del sistema produttivo rappresentato da Confimi Industria: il 66% delle aziende ha dei soci donna. E in quasi 8 (77%) aziende su 10 rivestono ruoli apicali. Numeri che lasciano ben sperare. Eppure, in relazione all’attuale legge, solo il 14% delle imperse manifatturiere italiane potrebbe definirsi “in rosa”».
A livello di associazione come stanno le quote rosa?
«Stiamo facendo meglio di quello che impone la legge. La presenza femminile è importante sia a livello di dirigenza imprenditoriale sia a livello di struttura dove la maggioranza dei collaboratori è donna. Tra l’altro abbiamo il caso del nostro Gruppo Giovani Imprenditori dove le ragazze sono la maggioranza e sono convinta che anche questo abbia contribuito all’effervescenza del loro percorso fatto di iniziative e attività fuori dagli schemi».
