VENEZIA. Il sornione di Palazzo Balbi. «Le liste della Lega? Ho letto i nomi sui giornali stamattina. Il mio, come avete visto, non c’è, a dimostrazione del fatto che ci siamo presi un impegno con i cittadini e intendiamo portarlo a termine. Finalmente le leggende metropolitane sulla mia candidatura sono state smontate».
Pungolato sull’argomento, Luca Zaia minimizza ed esibisce distacco, salvo riaffermare la sua estraneità alla selezione degli aspiranti parlamentar del Carroccio: «Io non sono stato consultato né ho avuto parte alcuna nelle scelte, d’altronde ho detto fin dal primo giorno che non me ne sarei occupato».
E il direttorio veneto del partito? Per volontà del coordinatore Alberto Stefani, include tutti gli esponenti di maggior rilievo, incluso il governatore… «Non abbiamo mai discusso di liste», la replica lapidaria.
Messaggio criptato ma non troppo: i colonnelli salviniani hanno deciso in solitudine, senza alcun confronto con le sezioni e il territorio veneto. Saranno loro («Io sono responsabile di ciò che faccio, non dell’operato altrui») a rispondere dell’esito elettorale. Dopo il 25 settembre, però: «Solo allora si potranno fare analisi e bilanci, adesso non è tempo di critiche e polemiche, pancia a terra per la causa».
Nel dettaglio, a voler spigolare l’elenco dei candidati, spiccano l’esclusione di un buon numero di deputati e senatori uscenti – Alex Bazzaro, Ketty Fogliani, Sergio Vallotto, Adolfo Zordan –– e lo sgambetto ad altri, incluse le zaiane Angela Colmellere e Silvia Covolo, relegate a fondo lista.
Un’operazione favorita dalla mossa a sorpresa di Mara Bizzotto, la votatissima europarlamentare lesta cedere il seggio di Bruxelles a Paola Ghidoni (padovana, prima tra i non eletti, fedele a Massimo Bitonci) per candidarsi al Senato e – al pari della trevigiana Ingrid Bisa, in corsa sia nel maggioritario che nel proporzionale – sbarrare la strada alle figure sgradite a via Bellerio.
A parziale risarcimento, il successo annunciato del commissario della Lega nella Marca Gianangelo Bof e le discrete chance accreditate al deputato uscente Giuseppe Paolin, due veterani vicini al governatore.
Che resiste alle tirate di giacchetta degli scontenti ma non farà sconti a nessuno sul versante federalista: «Il mio partito, Forza Italia e Fratelli d’Italia si giocano la sopravvivenza sul tema dell’autonomia regionale. Affossarla, significherebbe non potersi più presentare da queste parti, chi lo facesse troverebbe in Veneto un nido di vespe», da sapere.
E a chi ventila una fatica di Sisifo, con la riforma costretta a ripartire da zero ad ogni avvio di legislatura, Zaia replica affermando che il percorso parlamentare dovrà essere ripreso dal nuovo governo a partire dalla legge quadro messa a punto dal ministro Mariastella Gelmini.
«Il progetto che perseguiamo non è sovversivo e figura nelle agende a Roma, come dimostrano le ripetute affermazioni del presidente della Repubblica. L’autonomia non è un omaggio al Veneto ma una scelta di modernità e responsabilità. Non è la secessione dei ricchi, ma la volontà di dire che bisogna accorciare le catene decisionali, e porre fine agli sprechi, alle clientele e a disservizi che mortificano ancora troppi cittadini italiani. Senza federalismo questo Paese finirà in malora».
Ha poi parlato di presidenzialismo, scelta che condivide: «Mi fa specie vedere quando dall’altra parte della barricata credono che il presidenzialismo rischi di diventare una dittatura. Non è così, e lo dimostra il governo di Regioni come Veneto, Lombardia e Emilia Romagna, che sono equiparabili per popolazione a piccoli stati europei»
