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I faccendieri del calcio giovanile



Intorno alle «baby promesse» del pallone prospera un calcio mercato con procuratori-faccendieri che assecondano le ambizioni dei genitori. E nel meccanismo, per accedere alle categorie più importanti, si pagano «premi» fino a 20 mila euro. È un business con pesanti ricadute psicologiche per bambini e ragazzi. Schiacciati dalle aspettative familiari e magari illusi di possedere un talento che non hanno.

«Mio figlio ha 14 anni, è un terzino sinistro, ma può coprire tutta la fascia. Un giorno, mentre stavamo facendo uno stage vicino a dove abito, un signore si avvicina e mi dice che Marco ha le capacità per fare un salto di qualità. Mi avrebbe aiutato lui: avrebbe fatto una presentazione, una sorta di curriculum, e l’avrebbe portata alle più grandi società con cui aveva rapporti. Il costo, 1.500 euro». Incontriamo il padre di Marco in un piccolo stadio alle porte di Napoli, dove si sta tenendo uno stage aperto ai nati dal 2004 al 2008.

In campo, centinaia di bambini e una decina di organizzatori. Sugli spalti una marea di genitori pronti non solo a fare il tifo, ma anche a riconoscere eventuali scout cui proporre il proprio «gioiello». Perché, come spiega Massimiliano Matticoli, allenatore Figc (la Federazione italiana giuoco calcio) ed esperto in quello giovanile, «comunque la si metta, spesso a rovinare i nostri ragazzi sono le ambizioni degli adulti, siano essi genitori, procuratori o allenatori. Non a caso da anni la Federazione preme molto sulla cultura sportiva, soprattutto per quanto riguarda i più grandi».

All’ombra di quello che ha espresso fuoriclasse come Paul Pogba o Ángel Di Maria, c’è infatti un calcio mercato parallelo fatto di piccoli aspiranti campioni. Un sottobosco che coinvolge ben 594.149 ragazzi (tanti sono stati, secondo i dati ufficiali, i tesserati tra i 5 e i 16 anni nel biennio 2020-2021, peraltro in calo causa Covid rispetto ai 767.511 del 2019), in cui a muoversi sono spesso procuratori-faccendieri, non riconosciuti dalla Figc. «Partiamo dal presupposto che agenti sportivi e procuratori non possono rappresentare i calciatori di età inferiore ai 16 anni. Chiunque si proponga di portare tale attività è fuori dai regolamenti federali» spiega a Panorama Vito Tisci, presidente del Settore giovanile e scolastico della Federazione. «Solitamente parliamo di personaggi che approfittano della generale ignoranza in materia per offrire la propria consulenza con l’obiettivo della speculazione. Una volta scoperti, emerge che il più delle volte millantano capacità ed “entrature” inesistenti e, purtroppo, truffano le famiglie e le stesse società di calcio. Basterebbe sapere che i provini sono dettagliatamente regolati dal nostro settore il quale, dopo aver verificato i requisiti delle società, pubblica l’elenco delle varie selezioni su comunicati ufficiali».

Di casi ce ne sono tanti che sfuggono ai normali controlli. A raccontarlo è Dimitri Canello, direttore di Tuttocampo, il sito punto di riferimento del calcio giovanile: «Lo siamo diventati dopo anni di lavoro e di rapporti diretti con le persone che ci seguono. I lettori ci considerano affidabili e si rivolgono a noi per segnalazioni e richieste». Tra queste, alcune sono dello stesso tenore della testimonianza del padre di Marco: «Sono il papà di un giovane 17enne che si diverte a giocare a calcio e nel suo piccolo spera di avere una possibilità di mettersi in mostra con qualche squadra professionistica [...] Mio figlio è stato segnalato da un suo ex mister a una persona vicina a un procuratore sportivo, per eventuali provini. Contattato dal procuratore attraverso whatsapp, nel giro di pochi minuti, scopro che il provino non serve, e anche se il ragazzo non l’ha mai visto mi ha subito proposto un contratto con una squadra di Lega Pro». Piccolo dettaglio: «Basta pagare 600 euro al mese di convitto e 2 mila di diritti di agenzia ed è tutto fatto!!!». L’ennesima storia di un business che nasce e poggia, come sottolinea ancora Canello, sulle aspettative dei genitori che spesso «influiscono tantissimo e schiacciano letteralmente i bambini, che nutrono aspettative enormi».

Nelle tante pagine e gruppi privati che affollano i social d’altronde è un pullulare di video, foto, segnalazioni di calciatori promettenti. Difficile, ovviamente, distinguere nei genitori le aspirazioni smodate dalla capacità di leggere un talento. Per tutti però c’è nell’aria un provino, uno stage, una possibilità. «Milano, zona ovest, società di buon livello, per categoria juniores provinciale cerca portiere 2004 - 2005», scrive qualcuno. «Per completare organico Under 18 Regionale, società Campana organizza stage di selezione per la categoria 2005 - 2006. Selezione anche per gruppi Regionali Categorie 2007 - 2008 - 2009. Per info lasciare un messaggio».

Proprio contattando questo «organizzatore» ci ritroviamo qualche settimana dopo nel piccolo stadio di provincia alle porte di Napoli. Abbiamo garantito che nostro figlio, centrocampista di 15 anni, è di altissimo livello. Chiediamo se c’è un pagamento per il provino: «No, ci mancherebbe. Tutto gratis». Arriviamo allo stadio, intorno c’è una marea urlante: «Guarda, quello è mio figlio: forte eh!», ammicca un genitore. «Il portiere è il mio: ha 14 anni ma sembra un ventenne» irrompe un altro. C’è chi arriva dalla Sicilia e si ritrova qui approfittando di una vacanza in centro Italia, come Vittorio, che indica entusiasta una maglietta in perpetuo movimento: «Questo non è il suo primo provino. In passato era piaciuto anche al Pordenone e al Parma, ma in entrambi i casi mi è stato detto che c’era un convitto che avrei dovuto pagare: 400 euro al mese, troppi per me».

Anche in questo caso le storie si sommano e si assomigliano: il bambino piace - questo è la frase che tanti genitori si sentono dire - ma le spese di permanenza spettano alla famiglia. «Purtroppo succede spesso» ammette lo stesso Matticoli «e tutto sommato non c’è nulla di illegale. Però diciamocelo francamente: se davvero il ragazzo interessa, le società, specie quelle grandi, si fanno carico di tutto». Il dubbio è che sia un modo per fare semplicemente «numero» a costo zero e a spese dei genitori. E ci sono anche realtà in cui le spese delle famiglie si moltiplicano. È il caso del cosiddetto «premio di preparazione». Per semplificare, si tratta di una somma che è tenuta a pagare la società che tessera un ragazzo proveniente dalle scuole calcio. Cresce a seconda della categoria, fino a superare i 20 mila euro. Molto spesso, però, si crea una impasse: «Le società non vogliono versare, e le scuole calcio non sono intenzionate a rinunciare. Allora a mettere mano al portafogli sono i genitori» aggiunge Matticoli. Com’è capitato a Franco, 58enne di Pisa: «Ormai sono passati tre anni» racconta. «Mi è stato chiesto di pagare 20 mila euro circa per portare mio figlio in una squadra che allora militava in serie C. Mi è costato sacrificio, ma come avrei potuto non esaudire il suo desiderio più grande?».

Il mondo dei baby, però, è ancora più ampio e inizia molto prima dell’adolescenza. Specie d’estate, quando alle scuole calcio si affiancano campus stagionali, non di rado affiliati ai club più blasonati. «Un mio amico» rivela ancora Matticoli «ha portato il figlio a un campus in Abruzzo affiliato con il Barcellona. Alla fine i più bravi venivano mandati a fare una visita al leggendario Camp Nou». Ma non era un vero premio: «Al versamento iniziale, svariate centinaia di euro, si aggiungeva per i più “bravi” quello del viaggio e del pernottamento in Spagna. Tutto a carico della famiglia». Il risultato è che i più grandi pagano, mentre i più piccoli vivono di competizione, spesso anche eccessiva, senza rendersi conto dei meccanismi. Un altro allenatore, che preferisce restare anonimo, spiega cosa gli è accaduto in un campus affiliato con la Juventus: «Durava soltanto due giorni e al termine noi consegnavamo una sorta di pagella, come a scuola. Le cose che mi hanno lasciato perplesso sono due: da una parte il fatto che mettevamo delle “A” ma anche delle “C” o delle “D” a dei bambini, dall’altra che quei dati restavano nella banca dati della società».

Nella giungla di possibilità, ci sono poi i cosiddetti «corsi di perfezionamento» offerti da accademie che, con staff preparatissimo, promettono di accrescere le capacità dei campionicini in erba. Anche qui ci siamo finti genitori interessati: «Niente paura» rispondono da un’accademia lombarda «è possibile effettuare un corso dal 9 all’11 settembre (ma di allenamenti effettivi sono tre mezze giornate, ndr) al costo di 280 euro». Realtà che non sembrano propriamente rispondere ai principi del settore giovanile della Figc: «Tra le nostre linee guida» rivendica Tisci «promuoviamo sempre un approccio sano allo sport, cercando di valorizzare gli aspetti umani ed educativi, senza rincorrere in modo spasmodico il risultato, che sia di squadra o personale» e questo tramite un percorso formativo «che interessa e coinvolge tutti gli attori del nostro mondo: dirigenti, tecnici, calciatori e genitori».

Sul tema, dunque, la Federazione è particolarmente sensibile, tanto da divenire esemplare anche a livello europeo. Ecco perché è la stessa Figc a condannare episodi, verificatisi in passato, di società che, magari anche tramite una banale lettera, comunicano ai genitori che il loro figlio «non rientra nei criteri di ingresso per la nuova stagione». Tutto normale. Se non fosse che il bambino non ha compiuto neppure otto anni.

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