«La felicità sulla Terra può esistere e cercarla non solo ha senso, ma è forse l’unica cosa che abbia senso fare». Nei panni di un personaggio bizzarro e stravagante, Mario Sala – classe 1959, attore, traduttore, autore di letteratura per ragazzi che da decenni ha eletto Pavia come città del cuore – ha portato in scena al teatro Out Off di Milano lo scorso aprile Il sogno di un uomo ridicolo da Fëdor Dostoevskij. E si prepara ora a un inverno ancora più impegnativo, tra Pirandello, ancora Dostoevskij e Hanoch Levin.
Tutto questo come Mario Sala perché in realtà come Mario Sala Gallini vive anche un’altra vita, quella dell’autore di libri per bambini e ragazzi. Nel 2021 per Mondadori (Oscar Primi Junior) ha dato alle stampe A caccia di tesori, il viaggio di Ruben con la mamma camionista su e giù per l’Italia tra le più belle città. E tra Roma, Firenze e Venezia ci ha piazzato anche la sua Pavia.
Sua si fa per dire perché leggo nella biografia che lei è nato a Nizza.
«Si, ma per caso. La mia famiglia è di Varese. A Pavia sono arrivato seguendo a ruota mio fratello maggiore che studiava Medicina. Era alunno del collegio Ghislieri e anch’io avevo voglia di emanciparmi dalla famiglia».
Così ha tentato il concorso.
«In contemporanea a quello del Piccolo teatro che allora si chiamava Civica Scuola di arte drammatica. Li ho passati entrambi».
Ma pare di capire che il teatro fosse il vero amore.
«Nato grazie a un professore di francese al liceo che ci portò a vedere Il volpone di Ben Johnson. A Pavia vivevo dissociato: passavo dallo studio (poco convinto tanto che lasciai fisica per Lettere) e gli austeri corridoi del collegio alla dimensione gioiosa e bohemienne degli attori. Prendevo il treno per Milano alle 7.30 con i panini preparati dal cuoco del Ghislieri e tornavo a Pavia alle 14 per studiare».
E alla fine si è laureato in Linguistica applicata.
«Si con Maria-Elisabeth Conte che sapeva rendere affascinante una materia all’apparenza un po’ ostica».
Materia che anche lei ha insegnato.
«Si, per qualche anno all’Università di Genova».
E come è iniziata invece la seconda vita, quella dello scrittore?
«In modo casuale. Avevo da poco finito l’Università, con un certo ritardo, e avevo l’estate davanti. Alla biblioteca Bonetta ho trovato un manifestino sul premio letterario Il Battello a Vapore. Era un concorso nazionale, il vincitore avrebbe vinto 25 milioni di lire. Buttai giù una storia e ricordo che portai il dattiloscritto in bicicletta fino a Casale Monferrato dove aveva sede la Piemme».
E come andò?
«In modo inatteso. La premiazione si tenne a Verbania. Sentivo chiamare il quarto, il terzo, e con sorpresa per il secondo posto fecero il mio nome. Sa chi era il primo? MIno Milani. Due pavesi vincitori. Lui con il racconto L’ultimo lupo e io con Due ciliegie per il signor Bollettieri. Da lì mi si aprirono le porte dell’editoria per ragazzi. E Mino Milani fu sempre prodigo di preziosi consigli». —
Tre impegni per l’inverno e il 2023 attendono Mario Sala al teatro Out Off di Milano, con la regia di Lorenzo Loris. A dicembre una riduzione di “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello che era già andata in scena lo scorso gennaio. «A gennaio – annuncia Sala – porteremo in scena un altro testo di Dostoevskij. “Il delitto dei fratelli Karamazov”, una coproduzione con il Teatro Stabile di Brescia. E in primavera Out Off ha messo in programmazione un lavoro del drammaturgo israeliano Hanoch Levin “La puttana dell’Ohio”, per la prima volta in Italia». Mario Sala ha lavorato tra gli altri con Carlo Cecchi, Giampiero Solari, Toni Bertorelli, Andrè Ruth Shammah.
