Costruire silenziosamente una credibilità d’artista, canzone dopo canzone, album dopo album, senza colpi di teatro, boutade o trucchetti acchiappasocial. Solo buona musica e testi ispirati: è questa la ragione dei 25 anni di carriera di Niccolò Fabi, una traiettoria artistica fatta di dischi non scalfibili dall’usura del tempo e delle mode come Una somma di piccole cose, Tradizione e tradimento o Il padrone della festa con Daniele Silvestri e Max Gazzè.
«“Grazie per tutto quello che non hai fatto”. Mi ha detto una volta un amico, Vinicio Marchioni. E lo considero uno dei più bei complimenti che abbia mai ricevuto», racconta: «Soprattutto perché arrivava da una persona del mondo dello spettacolo che ne conosce i trucchi, i miraggi, le pressioni ed i narcisismi vari. Fin dall’inizio ho detto dei “no”, anche quando l’ambiente intorno, in maniera concitata, mi spingeva a osare di più nella logica delle strategie e dei calcoli che decretano la popolarità. Ma la mia felicità e la mia serenità non passano assolutamente di lì» sottolinea.
Si distingue Niccolò Fabi in un tempo fatto, come dice lui, «di nomi e numeri». In musica, questa associazione si compie nei sempre più inflazionati featuring, quel bizzarro fenomeno per cui tutti cantano e duettano con tutti, non esattamente per affinità artistiche. «Nel codice di comportamento dei social network questi accoppiamenti sono funzionali solo all’allargamento del proprio uditorio. Nomi e numeri per l’appunto…» ribadisce. Per festeggiare due decenni e mezzo di musica il 2 ottobre sarà sul palco dell’Arena di Verona, quasi la sua prima scaligera in solitaria. «In una parte dello spettacolo sarò accompagnato da un’orchestra, ma non per far indossare alle canzoni la giacca e la cravatta in una data prestigiosa. Finora mi sono sempre tenuto lontano dalla tentazione della veste orchestrale per i miei brani, ma in questa occasione ho voluto regalare un’esperienza nuova a me stesso e anche al pubblico che mi segue».
Festeggia 25 anni di discografia, ma in realtà la sua esperienza di palcoscenico è ben più lunga avendo cominciato con il più potente apprendistato in bottega, esibendosi fin da giovanissimo nei locali e nei club: «Il vero cambiamento avviene quando inizi a diventare un cantante della televisione. A quel punto nasce un alter ego, un avatar con cui bisogna imparare a convivere, a fare i conti. Mi ha colpito di recente una dichiarazione di Emmanuel Carrère: “Ho scritto un paio di libri in cui ha preso forma quello che sono”. Ecco, quel che conta davvero è acquisire la capacità di trasferire la propria identità nella propria arte. Anche nel mio caso la sfida è stata far sì che le canzoni prendessero la forma di quel che sono. Ma al di là delle ragioni professionali, la musica e la scrittura di canzoni sono un farmaco che mi autoprescrivo in continuazione. Non potrei farne a meno» spiega.
Quando ha iniziato a pubblicare canzoni e album la discografia era un meccanismo ben oliato dove c’era un filtro selettivo operato dalle case discografiche, dai direttori artistici. Non tutto era pubblicabile e non tutto veniva pubblicato… «In un certo senso bisognava sottostare a certe condizioni e c’era, per usare un’espressione forte, una sorta di censura, di setaccio preventivo. Ora, nel tempo delle autoproduzioni e delle autopromozioni e senza un “metal detector”, esce tutto, anche qualsiasi tipo di porcheria». E non è passatismo: «Non bisogna cadere nella trappoletta delle persone mature (è nato nel 1968, ndr) che sottovalutano le forme espressive del tempo contemporaneo. Trovare un equilibrio è una delle cose più difficili nell’invecchiare: la grande sfida per un artista, ma non solo, è essere testimoni della propria età, raccontare le sfumature di una vita, non cercare di essere diversi da quel che si è. E, al tempo stesso, non cedere alla gerarchia delle testimonianze come se le nostre fossero migliori perché appartenenti a un tempo migliore. Detto questo, mi intristisce il cinquantacinquenne che vuol fare il super giovane e che vuole cantare a tutti i costi con le star del momento. Diciamo che provo tenerezza, a essere buoni. Ma in fondo sbagliamo tutti, siamo umani».
Tra i momenti più ispirati e felici della sua carriera ci sono sicuramente il disco e il tour con due colleghi-amici come Daniele Silvestri e Max Gazzè. Un unicum non ripetibile o… «Non è una priorità per me replicare una cosa che è venuta bene. La logica del mercato spingerebbe per la replica, ma la logica dell’arte è un’altra cosa. Non ci siamo limitati a salire sullo stesso palco insieme, abbiamo di fatto condiviso due anni di vita, scritto canzoni insieme, girato il mondo. Ovviamente ci ritroveremo su qualche palcoscenico in futuro, ma quello che abbiamo fatto tra il 2014 e il 2015 lo considero irripetibile». n© riproduzione riservata