TRIESTE C’era tutta Trieste, in strada. Un mare di persone. Tifosi. Curiosi. Chi, semplicemente, per poter dire, un giorno, «io c’ero». E a dirlo sarebbero stati a decine di migliaia. E chi se la dimentica una sera così. La sera del 20 aprile 1967. Tutto lo straboccante affetto di Trieste per Nino Benvenuti, padrone del ring e del mondo. L’isolano strappato alla sua terra e cresciuto a Trieste che conquista la corona mondiale dei pesi medi. Battendo a domicilio, sul ring più prestigioso, lo statunitense Emile Griffith. Al Madison Square Garden. La mecca della boxe. Lì dove si entra campioni e si può uscire leggende.
Nino deve una notte insonne, ai triestini. Come racconta “Il Piccolo” rievocando l’attesa del match da questa parte dell’Oceano. 17 aprile. In un Madison Square Garden sold out Benvenuti sale sul quadrato per affrontare Emile Griffith con la consapevolezza di un pugile che si sente maturo per raccogliere il risultato più importante della carriera, a Trieste sono le 4 del mattino. “Migliaia di sveglie hanno trillato e l’apposito servizio della Sip-Telve è stato sottoposto a un eccezionale lavoro per le continue richieste di venir svegliati qualche minuto prima dell’ora X, dell’ora della verità”. Almeno centomila triestini seguono lo svolgimento del combattimento trepidando alla radio. La Rai ha rinunciato alla telecronaca in diretta. Sarebbe costata troppo. “Preferiscono i soldi del canone per le gambe delle gemelle Kessler” scriverà piccato nel suo commento Dante Di Ragogna.
Tremano i triestini, quando nella quarta ripresa un destro di Griffith alla mascella di Benvenuti manda al tappeto il campione triestino. L’arbitro conta fino al sesto secondo, Nino si rialza ma è in evidente difficoltà. Soffre, Benvenuti. E con lui soffrono in centomila, da Barcola a Muggia. Ancora un round in difesa, poi l’orgoglio ha il sopravvento. Su tutto. Al diavolo i timori reverenziali, chi lo sente il pubblico del Madison, non conta più niente. Solo vincere. Le ultime sei riprese sono a senso unico. Benvenuti attacca, la baldanza di Griffith si spegne con il passare dei minuti. “Nino, Nino” si sente gridare nel tempio della boxe. E Nino sente, eccome. Attacca. Insiste. Sa che ha ormai girato il match a proprio favore. Negli occhi di Griffith si leggono smarrimento e la consapevolezza che il suo regno si è concluso.
A centro ring, letto il verdetto degli arbitri, l’incoronazione. Primo italiano a conquistare il mondiale dei medi. Diciassette anni dopo il tentativo andato a vuoto da parte di Tiberio Mitri contro Jake La Motta. Durante le interviste qualcuno lo stuzzica: «Ha avuto fortuna?». Lo sguardo di Benvenuti vale un montante bruciante: «Sul quadrato non esiste la fortuna. Esiste solo la bravura». La sfida tra l’italiano e lo statunitense non finirà qui. Una rivincita in settembre allo Shea Stadium vinta da Griffith, il terzo combattimento ancora al Madison nel marzo del 1968, vinto da Benvenuti che si riprende il titolo. Finiti i duelli sul ring, rimane una profonda amicizia, con Nino che porterà in Italia l’amico-rivale minato dalla malattia e da una vita difficile.
Ma torniamo all’aprile 1967. Nessuno riesce a dormire, a Trieste. In tanti, conclusa la radiocronaca, salgono sulle auto e inscenano una chiassosa carovana per le strade del centro. Alla Pescheria centrale dove il padre di Nino ha un banco di vendita, “un pescivendolo si è attaccato alla campana - racconta Il Piccolo - il cui suono ha richiamato pescatori e bragozzi covinti che fosse giunta l’ora dell’asta del pesce”. Sono le 5.20 e c’è solo voglia di festa. O, meglio, un assaggio di festa. Quella vera deve avere al centro il protagonista.
Basta aspettare tre giorni. L’arrivo del nuovo campione del mondo dei medi è previsto alle 19, davanti al Municipio ma già alle 18 ventimila persone affollano le strade. Benvenuti arriva ritto in piedi sul bagagliaio di una spider rossa.
Il sindaco Marcello Spaccini gli consegna la medaglia con l’effigie di San Giusto. Benvenuti risale in auto, scortato fino alla sede dell’Unione degli Istriani. Il campione è quasi frastornato. «Ho avuto paura», ammette. Tanto, troppo, amore. Non si può arginare. Dove i pugni di Griffith hanno fallito, è l’affetto di Trieste a far piangere il campione. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA