TRIESTE Trieste c’è. Ed è una Trieste bella da vedere e da sentire, che si mescola in una composta determinazione, si rappresenta senza celebrarsi, testimoniando resistenza anche per quei pezzi di città che non capiscono o sono altrove. È pur sempre luglio e ci sono pur sempre poco meno di 40 gradi, sono le 3 del pomeriggio e l’ombra dentro la quale ripararsi si riduce a un esile cornicione disegnato ai piedi del palazzo della Regione. Ma erano duemila. Belli, bellissimi. Il numero è incoraggiante, non ancora il massimo che può offrire la comunità: un inizio. Il vescovo e il sindacalista, i sindaci con gli operai, consiglieri regionali e comunali a fianco degli imprenditori.
Quante volte avete visto un assessore regionale in piazza assieme al presidente di Confindustria mentre, convintamente, spalleggiano i lavoratori? Non me ne rammento tante e la ragione è che questa non è solo - e sarebbe comunque abbastanza - la trattativa per il mantenimento di centinaia di posti di lavoro e la difesa della memoria della Grandi Motori. Questa è una lotta per salvare l’industria di cui si è nutrita Trieste, anche con molti errori, e il rifiuto della disumanizzazione del lavoro. Si poteva avviare una riduzione lenta e graduale, tentare una gestione meno brutale dell’annuncio. Qui come altrove.
La mobilitazione della città è iniziata e bisogna fare in modo che diventi collettiva, in grado di saldare pezzi lontani della sensibilità triestina. Forse, ma dico forse, quel che la multinazionale farà alla fine non sarà molto diverso da quel che ha annunciato. Al momento non compaiono spiragli sufficienti per le illusioni. La nota della società dopo il primo incontro con le istituzioni è stata asettica, priva di parole di conforto, aspra nella sintesi. Sono tanti gli anni impiegati a stanziare denari, molte le mediazioni, infiniti i richiami. Riccardo Illy, Renzo Tondo, Debora Serracchiani, Massimiliano Fedriga, ci hanno provato tutti e sono stati ricambiati con un atto violento e non programmato.
Avanti, dunque. In piazza Unità mi è parso di cogliere uno spirito per nulla rassegnato e questo è il carburante del quale c’è bisogno per il negoziato. Il monito della Regione, lo spauracchio di perdere Fincantieri e tutto quel che è stato costruito sin qui rivela una forza che non si affievolirà. Lotteremo.
