Vladimir Putin va a Teheran come Joe Biden è andato a Gedda. Più per chiedere che per imporre. E’ la legge della guerra e della crisi energetica. Oggi vedrà il presidente Ebrahim Raisi e il leader turco Recep Tayyip Erdogan. Un alleato e mezzo. Tutti e due in una posizione di forza, come neppure si sognavano sei mesi fa. La stessa di Mohammed bin Salman. Il presidente americano non gli ha stretto la mano, non gli ha dato il «cinque», come aveva fatto Putin subito dopo l’assassinio di Jamal Khashoggi. Gli ha dato il «bump», il pugno. E’ lo stesso. Bin Salman ha concesso pochissimo, sul riconoscimento di Israele, che Riad continua a subordinare alla nascita di uno Stato palestinese, e sull’aumento della produzione di petrolio, che infatti ieri è schizzato di nuovo sopra ai 100 dollari al barile. E ha ottenuto moltissimo. Rientra a pieno titolo nel consesso internazionale. Dall'isolamento umiliante a G20 di Buenos Aires ai sorrisi, per quanto a mezza bocca, di Biden.
Il barile a 100 dollari
Il barile a 100 dollari è essenziale per far quadrare i conti sauditi e finanziare l’ambiziosa Vision 2030. Ma il barile a 100 dollari serve anche a Putin, a finanziare la guerra e a tenere in piedi l’economia russa assediata dalle sanzioni. Putin ha bisogno di alleati. Lo ha ammesso ieri, prima di partire per l’aeroporto Ayatollah Khomeini di Teheran. «La Russia non può svilupparsi isolata dal resto del mondo – ha spiegato -. E non lo faremo. È impossibile nel mondo di oggi emettere un decreto ed erigere un enorme recinto» attorno alla Federazione russa. Il recinto delle sanzioni occidentali. Per spezzarlo non basta la Cina, che pure continua a comprare gas e petrolio russo a ritmi record e ha dato il via libera al tubo Power of Siberia 2, con capacità simili al Nord Stream 2. Nel giro di 3 o 4 anni, 50 miliardi di metri cubiti in più verso Est. Ora però la priorità è non far crollare il prezzo del greggio. E a questo serve, tra le altre cose, la visita nella Repubblica islamica.
La minaccia atomica
Nonostante le roboanti minacce dei Pasdaran, «pronti a costruire l’atomica», l’accordo sul nucleare è ancora possibile, vicino. Significa che almeno un milione di barili iraniani potrebbero inondare di colpo il mercato. Putin vuole gestire questa possibilità con l’alleato Raisi. Che sia vicino quell’accordo, le confermano anche le dichiarazioni del capo di Stato maggiore israeliano Aviv Kochavi. Lo stato ebraico è pronto ad agire da solo, «a livello militare», se a Teheran fosse lasciata la possibilità di costruirsi la Bomba. La dirigenza iraniana, a partire dalla Guida Suprema Ali Khamenei, mantiene le sue ambiguità. Condanna, con una fatwa, l’arma nucleare. Ma rivendica il diritto a sviluppare la tecnologia che potrebbe fornirgliela. Putin, come tutti i leader russi, vede nell’Iran un cortile di casa. Non vuole una Repubblica islamica atomica. Ma neppure un riavvicinamento all’Occidente. I rapporti di forza si sono invertiti. Raisi gioca in casa. E chiederà soprattutto una cosa: la priorità degli interessi iraniani in Medio Oriente. Persino su quelli russi. In Siria, in Iraq, nei rapporti con Israele.
Grano e curdi
Qui il vertice a Teheran incontra il fattore turco. Nessuno sta meglio di Erdogan. La sua riabilitazione sulla scena internazionale è più flamboyant di quella di Bin Salman. Nelle sue mani resta l’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato. Ieri ha ribadito che la bloccherà “se non soddisferanno le condizioni poste dalla Turchia”. Cioè la consegna degli attivisti curdi che hanno trovato rifugio nei Paesi scandinavi. Può permettersi di giocare su due tavoli come nessun altro. Sulla questione curda ricatta l’Alleanza atlantica e chiede carta bianca a Putin e Raisi. Sarà uno dei temi centrali dei colloqui di oggi. Il via libera a «un’operazione speciale» nel Nord della Siria. Il leader russo è pronto a fare concessioni. Anche a spese del suo protetto Bashar al-Assad, che rischia una nuova amputazione di territori. Raisi meno. Vede nei territori che vanno dagli altipiani iranici al Mediterraneo il suo «cortile di casa».
Fra Nato e Astana
L’idea dei vertici iraniani è quella di allargare il «formato Astana». E’ servito a conciliare l’inconciliabile in Siria. A spese in parte dei curdi, in parte di Assad, e soprattutto degli americani. Ora ci sono in ballo i mercati dell’energia e del grano. Ankara potrebbe fare, e in parte fa già, da camera di compensazione. Importa gas e petrolio da Russia e Iran, apertamente e sottobanco, lo usa per sé e lo smista. Lo stesso potrebbe fare con i cereali. Non è escluso oggi l’annuncio di un «accordo». A misura dei tre interlocutori, e molto medo di Ucraina e Occidente. E’ il nuovo mondo «multipolare». Cinque ex imperi asiatici ed eurosiatici che reclamano il loro spazio. Oltre a Cina, Russia, Iran e Turchia c’è anche l’India, che ha sestuplicato l’import di greggio da Mosca.