BELLUNO. «Il voto di ieri (lunedì, ndr) mi fa vergognare. Da un lato sembra di stare ancora nel medioevo, dall’altra c’è una questione politica, perché non ci si può mostrarsi civici solo in campagna elettorale», commenta Irma Visalli del PD, «mi ribolle il sangue dopo tutti i discorsi nel nostro sindaco sull’inclusione e dopo che un’assessora pochi giorni fa si era detta garante dei valori anche del Centrosinistra perché questa è una amministrazione civica. Oggi è chiaro come questa sia un’amministrazione di pura destra».
Come Visalli, in molti del suo partito hanno stigmatizzato il voto e il senso politico che si è voluto dare alla questione: «Che la bocciatura venisse dalla Lega e Fratelli D’Italia, non sorprende. Si sa come la pensano e quanto siano per loro importanti le influenze romane», commenta Ezio Paganin, «voglio però ricordare al sindaco, dopo una campagna elettorale in cui diceva che sarebbe stato il sindaco di tutti (s’intende compresi gli immigrati in Belluno e loro figli), che gli immigrati ieri eravamo noi. Quasi ogni famiglia veneta e bellunese ritrova nella propria storia esperienze di immigrazione e questo dovrebbe bastare per capire, rispettare e amare ancora di più i nostri nonni, padri, madri e parenti che partirono».
«Avrei voluto sapere il pensiero del sindaco De Pellegrin su questo punto», ha commentato invece Davide Noro, «invece non ha proferito parola in aula. Rimangono però i fatti, chiari e inequivocabili».
Netta la posizione anche di Lucia Olivotto (Insieme per Belluno), che dopo aver ribattuto lunedì in aula ai colleghi della maggioranza, dice: «Ci si è nascosti dietro ai tecnicismi per non affrontare l’argomento, dimenticando che un Comune può dare indicazioni, ma spetta al Governo centrale lavorare sugli aspetti tecnici di una legge. Di cosa abbiamo paura? Di un ragazzo che frequenta la scuola? Si dice che destra e sinistra non esistano più, ma stando a quanto sentito in consiglio comunale non mi pare proprio. Perdiamo di continuo residenti in provincia, un’accoglienza seria dovrebbe essere considerata un aspetto importante per il futuro del nostro territorio».
Tra le reazioni più indignate c’è quella dell’ex sindaco, Jacopo Massaro, che dell’ordine del giorno era anche l’autore: «La maggior parte di Paesi occidentali (e non) applicano lo Ius soli, cioè il riconoscimento della cittadinanza a chi nasce in quel Paese, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori», si legge nel lungo post di Massaro su Facebook, che ricorda anche come «il dibattito politico sul tema è aperto, ma non può non tenere conto del fatto che dalla maggior parte dei cittadini la questione dello Ius sanguinis viene considerata ormai piuttosto antiquata; così come non si può ignorare che l’Italia nel 1997, insieme a tutti i membri del consiglio d’Europa, ha firmato un trattato internazionale che impegna gli Stati che non lo hanno ancora fatto a introdurre lo Ius soli e neppure che l’originaria radicalizzazione del dibattito politico tra sostenitori dello ius soli e ius sanguinis si è affievolita dopo una proposta di legge di “Ius soli temperato” dell’esponente di centrodestra Renata Polverini, e soprattutto dopo l’apertura della leader di destra Giorgia Meloni, che ha abbandonato la difesa dello Ius sanguinis in favore di uno “Ius culturae” , cioè del riconoscimento della cittadinanza a coloro che dimostrino vicinanza culturale con i cittadini italiani». Massaro infine, ricorda come «con questo odg si volesse rendere giustizia a tutti quei minori, anche bellunesi, che dal 2013 ci chiedono di prendere atto che le nostre norme sono state superate dalla storia e dal sentire comune. Ma così non è stato, nonostante nel programma elettorale di De Pellegrin si parli di misure per l’accoglienza e l’immigrazione. Ecco il motivo per cui siamo rimasti tutti molto sorpresi e, ammettiamolo, piuttosto preoccupati».
Lo Ius Scholae
Ma cos’è esattamente lo Ius Scholae? Si tratta di una proposta di legge che mira a facilitare l’ottenimento della cittadinanza italiana per i minori stranieri residenti in Italia (1.023.046 secondo l’Istat) e, più precisamente, prevede di anticipare l’iter per l’ottenimento già alla conclusione di un ciclo di studi di almeno cinque anni. La norma che si vorrebbe introdurre, quindi, andrebbe a modificare la legge sulla cittadinanza del 1992, che al momento prevede che solo i figli di genitori stranieri nati in Italia possano diventare italiani e comunque solo se iscritti all’anagrafe e residenti ininterrottamente in Italia fino alla maggiore età. Per loro, infatti, la richiesta di cittadinanza non può essere inoltrata prima del diciottesimo anno di età e non oltre il compimento del 19esimo. Con lo Ius Scholae, invece, il limite sarebbe collegato alla frequenza scolastica: nello specifico se il minore avesse completato i 5 anni di studi durante la scuola primaria, sarebbe necessario anche l’esito positivo e quindi l’accesso alla secondaria per validare il requisito minimo per la richiesta di cittadinanza, mentre questo non sarebbe richiesto per corsi di studio superiori.