Mossi a pietà, una decina di giapponesi continuano a ramazzare i luridi sampietrini di Ponte Sisto, a Trastevere. Sette e mezza del mattino. Monnezza ovunque. E nessuna dignitosa alternativa al compassionevole volontariato. Hideshi Kibi, artista di strada, suona la fisarmonica su quel ponte. E cerca, assieme ai connazionali, di renderlo decoroso. Il commovente aiuto del Sol Levante alla disperata causa romana è l’inarrivabile apoteosi. L’imbarazzo capitale. Rifiuti, roghi, cinghiali, degrado, sprechi, lottizzazioni. Nessuno, in coscienza, pensava che si potesse far peggio del quinquennio pentastestellato, con Virginia Raggi al Campidoglio. Invece, lo scorso autunno, la città è stata conquistata dal Partito democratico, grazie alla vittoria di un pezzone da novanta come Roberto Gualtieri: già ministro dell’Economia, seppur improvvisatissimo, ed ex eurodeputato, custode dell’ortodossia continentale. Una poltronissima via l’altra per lo storico, di formazione marxista. Nemmeno un condominio amministrato in 55 anni, ma sempre sulla breccia. Quindi perfetto per la città più incasinata d’Italia. L’11 agosto 2021, in piena campagna elettorale, scandisce: «Roma deve rinascere dopo anni di degrado e può farlo solo coinvolgendo tutte le forze migliori».
Appena eletto, lo scorso 4 ottobre, conferma: «Ora Roma può rinascere». Tre settimane più tardi, avventurandosi nel concreto, scolpisce la solenne promessa: «Ripuliremo Roma entro Natale». Nell’imminenza dell’epocale traguardo, il 19 dicembre scorso, il segretario del Pd Enrico Letta gli alza il braccio in segno di vittoria: «Con il suo arrivo tutti hanno notato il cambio di passo». In effetti, nella capitale è iniziata una nuova era: il paleolitico. Montagne di pattume a lato dei traboccanti cassonetti: distintivo arredo urbano. Olezzo insopportabile come arietta da imbottigliare e vendere: mefitico souvenir per i parenti meno graditi. I cinghialoni sulle sbiadite strisce pedonali: mirabile esempio di integrazione tra uomini mal addomesticati e animali selvatici. I civilissimi nipponici se ne facciano una ragione. Roma è un laboratorio. La metropoli allo stato brado. Finirà nei libri di antropologia.
Monnezza ovunque. Lambisce, blasfemamente, perfino il Vaticano. Avviluppa le zone più turistiche. I marciapiedi sono discariche en plein air. Gli sporadici passaggi dei camion dell’Ama, l’azienda dei rifiuti, vengono salutati come lo sbarco dei garibaldini a Marsala. Il giorno dopo, però, punto e accapo. Sui cumuli di immondizia aleggiano gabbiani, fra i sacchi neri dimorano pantegane, spunta qualche simbolico lupacchiotto. Ma chi è ormai di casa sono i cinghiali, pacificamente insediati attorno ai cassonetti di Roma Nord. Potrebbero chiedere anche la carta d’identità, se non servissero mesi d’attesa per la borbonica burocrazia.
«Ripuliremo Roma entro Natale» assicurava garrulo Gualtieri. Adesso favella malvolentieri. E quando lo fa, è solo per accampare scuse alla Jake dei Blues Brothers di fronte alla fidanzata furente: dall’invasione delle cavallette alla tintoria che non consegna il tight. Colpa dell’incendio della discarica di Malagrotta, dei grillini che osteggiano il progresso e della predecessora che «ha lasciato un disastro». Dopo settimane apocalittiche, arrivano finalmente le prime eufemistiche ammissioni: «La città non è pulita come vorremmo», anzi è proprio «sporca», serve uno «sforzo ulteriore». Ora il sindaco ne promette la costruzione del salvifico termovalorizzatore. Entro il 2025, però. E nel mentre, che si fa? Ogni famiglia si impegna ad adottare un cinghialetto? Si bandiscono abbacchio e vaccinara per ridurre gli scarti alimentari?
Fossero poi solo le tonnellate di immondizia che adornano centro e periferia. Ai bordi delle strade è cresciuta pure una fitta vegetazione, perfetta per le nuove specie animali insediate in città. Basta un mozzicone gettato dal finestrino. Decine di incendi al giorno. Alcuni giganteschi. Come il rogo nel parco del Pineto. Doloso o colposo? La procura indaga. Di certo, intanto, c’è l’avvilente incuria: l’erba alta un metro e mezzo. E i 38 gradi all’ombra di quei giorni. Maurizio Gubbiotti, presidente dell’ente Roma Natura, che gestisce il parco, aggiunge: «Mancavano le strisce tagliafuoco». Così, puff, 50 ettari in fumo. Mentre Gualtieri, paladino della transizione ecologica e rigenerazione urbana più parolaie, annuncia che Roma «sarà una protagonista di una grande rivoluzione green». Ciao, core.
Fiamme e monnezza, invece. Un toccasana per ambiente e salute. Così, anche i vipponi de’ sinistra sono in ambasce. Com’è possibile? Robbertino nostro? Ma sì, quello che pareva pappa e ciccia con «er Saponetta», alias Nicola Zingaretti, governatore laziale ed ex segretario dem. L’attrice Claudia Gerini, per esempio, è furente. Pubblica un eloquente video. Sporcizia per strada e rifiuti in centro: «Qui siamo in piazza della Minerva, dietro il Pantheon, e questo è quello che dobbiamo sempre vedere». Aggiunge di aver fatto un giro nel supposto «salotto bello»: «Questa città è sporca non soltanto perché le persone sono incivili». Quindi, sentenzia: «Ma perché nessuno la pulisce?». Dilemma amletico. A cui nemmeno Alessandro Gassmann, che pure in teatro ha interpretato ruoli scespiriani, riesce a dare risposta. Twittatore seriale sull’emergenza ambientale, s’è lasciato sfuggire un laconico commento di fronte alla mesta immagine di un monopattino abbandonato tra le cartacce: «Certo che però porca zozza Roma, Europa, centro storico». Anche la conduttrice de La7 Mirta Merlino, autrice tra l’altro di un’indimenticabile intervista in cui il futuro primo cittadino stornellava «Roma non fa’ la stupida stasera», è amareggiata. Posta un collage di degradanti foto, assieme all’aulico commento: «Natura morta».
L’inerte Gualtieri è però attivissimo nel rompicapo da sempre più amato dai democratici della capitale. Come la regina Maria Antonietta suggeriva di dare brioche al popolo affamato, anche il sindacone concede nuovi dirigenti ai cittadini che chiedono ramazze. L’Ama ne ha nominati altri sei. Persino l’accomodante Cgil l’ha presa male: «In un momento di crisi, gli sforzi vanno dedicati a migliorare il servizio e all’aumento del personale operativo». Il cda dell’azienda passa pure da un amministratore unico a cinque membri. L’Atac, altra grande azienda pubblica, eterna malmessa ramo trasporti, li moltiplica per tre. Mentre l’Auditorium passa da un uomo solo al comando a quattro. Con gli uffici che lievitano da 13 a 21. Ma come canta Paolo Conte: «È tutto un complesso di cose...». E la giunta capitolina ha dato il meglio fin dagli esordi. L’opposizione calcola oltre 100 collaboratori. Più della metà, denuncia, sarebbero targati Nazareno: compagni, trombati, amici, amici degli amici.
Braccio destro di Gualtieri, per esempio, è una leggenda del Pd romano: Albino Ruberti, detto «er Pugile». Fisico piazzato, sguardo torvo, maniere brusche. È il capo di gabinetto del sindaco. Lo è stato pure di Zingaretti. Proprio allora, maggio 2020, pienissimo lockdown, viene beccato da amici su una terrazza. Mangiare, cantare, divertirsi. Tutti chiusi in casa. Mentre Catone il censore festeggia con vinello e crudité. I poliziotti gli contestano il mancato rispetto dei Dpcm. Ruberti va sul classico: «Lei non sa chi sono io!». Qualche mese dopo, fermati dai carabinieri, sono i figlioli del capo di gabinetto a deflagrare: «Voi non sapete chi è nostro padre!».
L’epopea da marchese e marchesini del Grillo esemplifica. Il generone dem capitolino resta inarrivabile. E quanto a figure barbine, il sindaco non teme confronti. La prima estate romana doveva essere la «rinascita». Invece è l’inferno. Non serve nemmeno la nomina a supercommissario per il Giubileo 2025, conferita dal premier, Mario Draghi. Almeno due miliardi in arrivo con il Pnrr. Ma gli intendimenti restano vaghi. Il Recovery plan alla vaccinara sembra già velleitario. Eppure, alcune opere sono attese da sempre. Vedi il completamento della linea C della metro, l’anello ferroviario e il collegamento tra Fiumicino e Termini. Già, la stazione ferroviaria. Senzatetto disperati, balordi molesti, mucchi di monnezza, fila estenuante per un taxi. Roma ti accoglie così. Senza nemmeno un giapponese a spazzare il sudiciume.
