Il Tribunale di Caltanissetta dovrà decidere se i tre poliziotti imputati, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Matteo, hanno davvero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a mettere a verbale bugie e ad accusare ingiustamente degli innocenti, che poi furono condannati all’ergastolo per la strage di via d'Amelio
L'articolo Depistaggio Borsellino, i giudici in camera di consiglio: attesa in serata la sentenza sui tre poliziotti imputati proviene da Il Fatto Quotidiano.
Perché sono state depistate le indagini sulla strage di via d’Amelio? Solo perché Vincenzo Scarantino ha deciso di sua spontenea volontà di autoaccusarsi dell’omicidio di Paolo Borsellino e di cinque uomini della scorta? O perché, come sostiene la procura di Caltanissetta, è stato creato “un depistaggio gigantesco” e “inaudito” che “ha coperto alleanze mafiose di alto livello“? Saranno oggi i giudici del Tribunale di Caltanissetta a decidere se i tre poliziotti imputati, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, hanno davvero indotto il falso pentito a mettere a verbale bugie e ad accusare ingiustamente degli innocenti, che poi furono condannati all’ergastolo per la strage. La corte, presieduta da Francesco D’Arrigo, si è ritirata in Camera di consiglio alle 10:45. La sentenza è attesa per le ore 20, alla fine di un processo durato quasi 4 anni: è iniziato, infatti, il 5 novembre del 2018. In aula sono presenti due dei tre figli del giudice Borsellino: Manfredi e Lucia. Mentre non ci sarà Fiammetta Borsellino, la figlia minore del magistrato. Il marito di Lucia Borsellino, Fabio Trizzino, è uno dei legali della parte civile e rappresenta proprio la famiglia Borsellino. Tra gli imputati erano presenti solo Ribaudo e Mattei, mentre Bo ha deciso di non presentarsi. Questo è il quinto processo che si celebra su fatti relativi alla strage di via d’Amelio. Nella sesta puntata del podcast Mattanza vengono ricostruite tutte le fasi del depistaggio delle indagini.
Le richieste della procura – Al termine della requisitoria il nuovo capo della procura nissena, Salvatore De Luca, ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Bo, e nove anni e mezzo per Ribaudo eMattei. Gli imputati sono accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avete favorito la mafia. Secondo l’accusa, hanno costruito a tavolino una falsa verità sull’attentato costata la condanna a otto persone innocenti. I poliziotti, secondo i pm, hanno costretto, anche con la violenza, personaggi come Scarantino, piccolo spacciatore senza legami con la mafia, ad autoaccusarsi della strage e a incolpare persone estranee all’attentato. Per i tre imputati è stata chiesta anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. “Hanno avuto molteplici condotte e tutte estremamente gravi che rendono tangibile il grado di compenetrazione nelle vicende, avete ulteriori elementi che provano la sussistenza di questo elemento, la condotta che caratterizza l’illecito. Non è una condotta illecita di passaggio ma che dal primo momento fino all’ultimo si ripete e si reitera”, ha detto il pm Stefano Luciani – che ha rappresentato la pubblica accusa insieme a Maurizio Bonaccorso – durante la requisitoria. Per l’accusa “è dimostrato in maniera assoluta il protagonismo del dottor Mario Bo sulle false dichiarazioni di Vincenzo Scarantino e nella illecita gestione di Scarantino nella località protetta”. E ancora: “C’era una fiduciarietà del rapporto tra i tre imputati e Arnaldo La Barbera, che rende concreta l’ipotesi che abbiano avuto la reale rappresentazione degli scopi sottesi delle condotte poste in essere”. All’epoca dei fatti La Barbera guidava la Squadra mobile di Palermo, prima di essere promosso al vertice di un gruppo speciale creato per indagare sulle stragi: si chiamava “gruppo Falcone Borsellino”. Secondo l’accusa è stato La Barbera, morto nel 2002 a causa di un tumore, il dominus del depistaggio: i tre poliziotti imputati erano suoi uomini di fiducia. Per la Procura “ci sono elementi che dimostrano convergenze che certamente ci sono state nella ideazione della strage di via D’Amelio tra i vertici e gli ambienti riferibili a Cosa nostra e ambienti esterni ad essa”, ha aggiunto sempre Luciani nel suo atto d’accusa. Durante la requisitoria il pm ha parlato anche dell’agenda rossa del giudice Borsellino, che non venne più ritrovata dopo la strage: “Se sparizione c’è stata, non fu di interesse di Cosa Nostra ma da collegare a interessi estranei”.
La difesa dei tre poliziotti – Di tutt’altro avviso la difesa dei tre imputati. Nel corso delle arringhe difensive gli avvocati hanno parlato di un “castello di menzogne” che sarebbe “crollato miseramente”, con “ricostruzioni romanzesche” e “accuse infamanti” e “illazioni” della Procura. Il tutto “senza alcuna prova. Zero”. “Menzogne” che hanno provocato “schizzi di fango” e “una gogna mediatica” per i tre imputati, nel processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio ma anche “sui magistrati” che indagarono subito dopo la morte di Borsellino. Ha usato queste parole l’avvocato Giuseppe Panepinto, legale del poliziotto Mario Bo, che ha elencato “le illazioni dell’accusa”. Il legale ha sottolineato che sì, che sulla strage di via D’Amelio c’è stato “il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana“, come dice anche la Cassazione, “ma non ad opera dei tre poliziotti imputati o di magistrati e uomini dello Stato”, perché gli autori del depistaggio sarebbero stati, secondo la difesa, “tre balordi”, cioè i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta. Alla fine della sua arringa Panepinto si è appellato alla corte concludendo la sua arringa: “Il Tribunale non si piegherà alle pressioni mediatiche, ai libri, alle trasmissioni televisive e che farà una valutazione serena. Sulla base di quegli elementi, noi chiediamo una sentenza di assoluzione che restituisca agli imputati la dignità che meritano e ora si trovano in questa situazione, senza una valida motivazione”.
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