TRIESTE Rosa ha quattordici anni ed è di origini turche. Tanto il papà, Ahmet, quanto la mamma, e Seval, sono infatti cittadini turchi residenti a Trieste da anni, esattamente dal 2007. Difficoltà grosse con la burocrazia italiana, fortunatamente, non ne ha avute. Nel 2020 Ahmet ha ottenuto la cittadinanza italiana e insieme a lui lo è diventata automaticamente, appunto senza intoppi legislativi, anche Rosa, nata che, nata a Trieste un anno dopo l’arrivo dei genitori, ha appena finito con profitto la terza media.
Ahmet lavora da anni per un’impresa di spedizioni che opera in ambito portuale all’interno dello scalo nuovo di Trieste mentre la moglie Seval lavora da diverso tempo come mediatrice culturale in ambito sanitario. Alla luce della sua esperienza, Ahmet giudica positivamente la riforma dello ius scholae a breve all’attenzione del Parlamento. «Credo che la questione legata alla cittadinanza di ragazzi che nascono e crescono in Italia sia da affrontare seriamente - osserva -. Parliamo di giovanissimi che, oltre a nascere in questo Paese, lo vivono e si sentono a tutti gli effetti parte di esso». Può essere quindi spiacevole, e in qualche caso anche solororoso, sentirsi ragazzini di “serie B” all’interno di quello che si considera il proprio Paese. «Ricordo ancora nitidamente quando, anni fa, la Federazione italiana basket per formalizzare l'iscrizione di mia figlia ai corsi di basket per bambini, dovette inviare la documentazione anche all'omologa federazione turca».
Per ora è Seval, la moglie di Ahmet a non possedere la cittadinanza italiana: «Dopo il via libera alla mia prcatica, abbiamo fatto richiesta anche per mia moglie in quanto sposata a cittadino italiano. Domanda che è stata rigettata per motivi burocratici. La ripresenteremo a fine anno».
