TRIESTE «Suono regolarmente in Italia da cinquant’anni e ho collaborato con artisti italiani, per esempio di recente con la PFM e il flautista classico Andrea Griminelli; sono anche apparso come ospite nei dischi di giovani artisti meno noti. In questi anni ho voluto visitare l’Italia da turista, per capirne meglio gli abitanti e la cultura storica della nazione. Ho una preferenza per il Nord, ma solo perché sono un tipo da montagna»: Ian Anderson, flautista, polistrumentista e frontman racconta così il suo rapporto con il nostro paese, pronto a farvi ritorno con i Jethro Tull, per il concerto al Castello di Udine mercoledì alle 21.15, nell’ambito del Folkest (in collaborazione con il festival “Nei suoni dei luoghi”).
In pista dal 1968, gli inglesi Jethro Tull, paladini del progressive, sono oggi un marchio musicale che ha attraversato il tempo con ancora molto da esprimere, prova ne è il nuovo album uscito a gennaio (a ben 19 anni dal precedente), “The Zealot Gene”: «Il titolo si riferisce a quella condizione di rabbia interna – racconta Anderson – che definisce così tanto la condizione umana, ognuno di noi ha la tendenza ad arrabbiarsi per certe cose, che diventano quasi ossessioni. Ciò porta troppo facilmente ad aprire le porte all’indottrinamento da parte di qualche pio canto o a estremismi politici, scadendo in pregiudizio, xenofobia, teorie del complotto, conservatorismo. Scritto nel 2017, non potendo poi andare in studio per i lockdown, nel 2021 ho deciso di finirlo da solo, a casa».
Il concerto a Udine, vista la location all’aperto, non porterà la produzione video dei teatri, quindi «Ci si focalizza ancor di più sulla musica, pescheremo dal nostro repertorio più progressive, dal 1968 al 2022. Questo – prosegue il leader dei Jethro Tull – è il primo tour dal 1971 in cui non includiamo la chitarra acustica». La band sta già registrando un album che uscirà ad aprile 2023, di cui sono pronte cinque canzoni, nel frattempo cerca di recuperare molte delle date saltate per la pandemia. Mr. Anderson, vuole in fine sfatare qualche mito su di sé? «Negli anni ’70 i giornalisti pensavano utilizzassi droghe. Qualcuno pensava fossi gay. Nessuna delle due, ma c’è sempre tempo!».