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“I grandi scrittori? Tutti di destra”: quell’articolo di Giovanni Raboni che turbò la sinistra torna in libreria

Il 27 marzo 2002, un ventennio fa, per molti passato invano, sul “Corriere della sera”, Giovanni Raboni pubblicava l’articolo I grandi scrittori? Tutti di destra: un titolo scandaloso per l’establishment culturale di ieri e purtroppo anche di oggi, come conferma la recente proposta editoriale di De Piante, che non solo ha ripubblicato, nella sua raffinata […]

L'articolo “I grandi scrittori? Tutti di destra”: quell’articolo di Giovanni Raboni che turbò la sinistra torna in libreria sembra essere il primo su Secolo d'Italia.

Il 27 marzo 2002, un ventennio fa, per molti passato invano, sul “Corriere della sera”, Giovanni Raboni pubblicava l’articolo I grandi scrittori? Tutti di destra: un titolo scandaloso per l’establishment culturale di ieri e purtroppo anche di oggi, come conferma la recente proposta editoriale di De Piante, che non solo ha ripubblicato, nella sua raffinata Gli Aurei, l’intervento di Raboni, ma lo ha anche  integrato con ulteriori approfondimenti.

L’articolo in questione si muoveva  dalla tesi, trasversale – secondo l’autore – a destra e a sinistra, che gli intellettuali sono “tutti di sinistra”. Si trattava ed in fondo per molti ancora si tratta di una convinzione talmente diffusa da trasformarsi, nell’immaginario collettivo, in una sorta di luogo comune, diffuso ed accettato. Intellettuale inquieto, poeta appassionato, diviso pasolinianamente  tra la memoria della Milano che fu ed il libertarismo degli Anni Settanta, per il Raboni critico  – come scrive Luca Daino,   in premessa alla riproposta editoriale di De Piante – nell’ambito dell’espressione artistica vigeva un principio fondativo: “non può intervenire, nel giudizio su un’opera d’arte, alcun criterio politico. La riuscita di un’opera si misura primariamente sul piano estetico, il quale certo non ignora, ma sormonta e trascende, quello politico”.

In I grandi scrittori? Tutti di destra l’autore va giù duro e senza mezzi termini: “Per dirla nel più diretto e disadorno e a prima vista (ma solo a prima vista) provocatorio dei modi, la verità dei fatti è la seguente: che non pochi, anzi molti, anzi moltissimi tra i protagonisti o quantomeno tra le figure di maggior rilievo della letteratura del Novecento appartengono o sono comunque collegabili a una delle diverse culture di destra – dalla più illuminata alla più retriva, dalla più conservatrice alla più canagliesca – che si sono intrecciate o contrastate o sono semplicemente coesistite nel corso del ventesimo secolo”. A sostegno della sua tesi Raboni fa nomi e cognomi, in rigoroso ordine alfabetico. Ad emergere è il gotha della cultura novecentesca: da Céline a D’Annunzio, da Hamsun a Ionesco, a Jünger, Marinetti, Maurras, Pound, Prezzolini … E’ una vera terapia antiretorica e liberatoria quella offerta dall’autore, “impegnato”, al di là delle vecchie appartenenze ideologiche, ad insinuare qualche dubbio, a destra (in chi vede in ogni scrittore un avversario politico)  e a sinistra (rispetto a chi “scambia non meno ingenuamente ogni scrittore per un compagno di fede”).

Con questo fuoco di fila impossibile non fare scandalo, come confermava  lo stesso Raboni, in un articolo di replica pubblicato sul “Corriere della sera” del 23 aprile 2002, fotografia di un mondo giornalistico e culturale che si ferma al sentito dire, al retorico riperpetuare di pregiudizi e  di fraintendimenti (un po’ come accade oggi per la mostra dei dipinti  di Julius Evola, esposti al Mart di Rovereto, su idea di Vittorio Sgarbi).

Di questo fuoco di fila “tra destra e sinistra” si fa carico, in appendice al libretto pubblicato da De Piante, Franco Cardini (Quando ancora si discuteva di egemonie culturali), un “irregolare” per antonomasia, che, sul filo del ragionamento di Raboni, aggiorna la questione ed alza il tiro, tra cancel culture (ultima follia di un mondo intellettuale che, nato all’insegna del “vietato vietare”, ha poi assunto le vesti della neo inquisizione del Pensiero unico) e “Male assoluto”, definizione usata  – scrive Cardini – “per oggetti squisitamente storici che, in quanto tali, mai dovrebbero uscire dagli argini della contestualità e quindi della relatività (che non è sinonimo di relativismo)”.

Cardini ricorda come “a destra”, nei “furibondi anni Settanta”, si tentò di rompere i vecchi monopoli culturali “di sinistra” , rinverdendo, con nuove testate,   esperienze di grande successo, come era stato “il Borghese”, scommettendo su  imprese editoriali “fuori dal coro”  (Rusconi), fino a cavalcare un autore come J.R.R. Tolkien ed il suo Il Signore degli anelli, che oltreoceano era stato un bestseller della beat generation. Furono, ancora, gli anni della “Nuova Destra e delle “nuove sintesi”, espressione di una vivace pattuglia di intellettuali, destinati – come nota Cardini – “a farsi un nome”, scompaginando il vecchio ordine dell’egemonia culturale di sinistra. Una sinistra costretta  peraltro a fare i conti con la sua crisi ideologica, al punto da “rileggere” autori maledetti come Nietzsche, Unamuno, Céline, Schmitt.

Nel rimescolarsi delle appartenenze e degli autori di riferimento, la vera e pesante differenza è che la sinistra rispetto alla  destra dispone di una “politica culturale” e che della cultura “ha un concetto prevalentemente demagogico e strumentale”.

Che cosa è mancato a destra ed in ambito cattolico per affrontare ad armi pari l’egemonia culturale della sinistra, dando il giusto rilievo agli autori di valore provocatoriamente riconosciuti  da Raboni? Proprio la mancanza di consapevolezza rispetto ad  una grande tradizione culturale, che il mondo cattolico, garantito dal potere democratico cristiano, non seppe alimentare, e che le destre consideravano una mera “sovrastruttura”, un addobbo di scarso valore da un lato  ed un balocco nostalgico dall’altro. Così fu purtroppo anche nel 1994, l’anno della mitica svolta berlusconiana, allorquando alla vittoria elettorale non corrispose una seria strategia culturale, che  – come nota Cardini – impedì di realizzare qualche “serio discorso nel campo della ricerca, dell’università e della scuola”.  Al fondo di tutto il sostanziale isolamento degli uomini di cultura orientati “a destra”, laddove “a sinistra” si formulavano progetti, venivano  elaborate  riforme, nel segno  di un impegno di taglio gramsciano. E questo malgrado sul fronte opposto  fossero storicamente presenti i grandi scrittori, quelli verso cui Raboni manifesta il suo interesse.

Sia chiaro quella di Raboni non è stata una grande scoperta. Ciò che è importante, ieri  come oggi, è il suo invito a rompere con l’omologazione culturale (quella secondo cui la cultura è monopolio della sinistra) spingendo quanti  a certi autori dovrebbero  guardare ed ispirarsi ad essere consapevoli di un’eredità importante, la quale non può solamente essere conservata e contemplata, ma va valorizzata, divulgata, fatta oggetto di dibattiti, di approfondimenti, fino ad trasformarsi in un elemento  dinamico e creativo nella contemporaneità.

In questa prospettiva l’aureo libretto I grandi scrittori? Tutti di destra, può diventare un punto di riferimento, a partire dal quale identificare più ampie strategie culturali, nel segno di una provocazione d’annata rispetto alla quale attardarsi in modo trasversale, a destra e a sinistra.

Giovanni Raboni, I grandi scrittori? Tutti di destra, De Piante Editore, Milano 2022, pp. 60, Euro 20,00.

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