“Tutti noi che lavoriamo nella moda sappiamo che gran parte del resto del mondo pensa che quello che facciamo sia qualcosa di insulso. È una critica noiosa, di cui sosteniamo il contrario, ma se ci pensate, a volte la moda è apparentemente insensata. Perché è un lavoro provocatorio, sconvolgente, impegnativo e significativo. È mozzafiato. È bellissimo. Negli ultimi anni, però, sembra che la moda abbia fatto di tutto per dimostrare di non essere sciocca“. Sono passati 3 anni da quando, nel 2019, il texano Daniel Rosberry ha preso le redini della direzione creativa di Schiaparelli, la casa di moda fondata nel 1927 a Parigi da Elsa Schiaparelli. Una sfida per lui, all’epoca appena 33enne, che oggi possiamo dire assolutamente vinta. In punta di piedi, ha interiorizzato appieno la figura e la poetica della fondatrice, raccogliendone l’eredità e declinandola in creazioni che fanno tesoro del passato per proiettarsi nel futuro. Ha raggiunto la sua maturità creativa portando a compimento la simbiosi con l’heritage della maison e, con coraggio, in occasione della sfilata di Alta Moda Autunno/Inverno 2022-23 che si è tenuta il 6 luglio scorso in apertura della settimana dell’Haute Couture parigina, Rosberry ha voluto mettere nero su bianco in una nota quello che è il fantasma che aleggia sul mondo della moda: la considerazione, di una parte dell’opinione pubblica, che questa sia solo apparenza, solo superficie. E di replicarvi, non con un messaggio politico né con un impegno sociale. Affatto. Alla superficialità effimera dell’immagine lui contrappone la potenza di abiti-scultura senza tempo, che racchiudono tutti gli elementi chiave dell’estetica di Madame Schiaparelli declinati secondo la sua più pura creatività. D’altra parte, è cresciuto circondato da pittori e scultori, spronato a coltivare le sue attitudini creative dalla madre e dalle nonne che erano molto vicine all’arte. La stessa arte che Elsa Schiaparelli declinava sotto forma di capi d’abbigliamento, accostandosi prima all’Art Decò e, poi, al circolo dei Surrealisti, diventando la musa di Salvador Dalì e instaurando con lui un connubio artistico: è proprio questa vocazione quasi fanciullesca alla creatività e la totale dedizione alla propria immaginazione a rendere i due stilisti adesso più uniti che mai.
“Il percorso più difficile – riflette Daniel Rosberry – consiste nel rimanere un professionista coinvolto nel contesto sociale e allo stesso tempo, nel proprio lavoro, osare il ritorno ad una sorta di innocenza creativa, allo stato di meraviglia e stupore che tutti noi abbiamo provato quando abbiamo assistito alla nostra prima esperienza trascendente. Parlo sempre del tentativo di raggiungere quello stato di innocenza creativa, di lottare per rimanere vicini a quella persona che si è innamorata della moda e delle sue possibilità, di non soccombere al cinismo o al logorio del mondo“. Tutto questo si traduce nella nuova collezione di alta moda A/I 2022-23 che parla il lessico proprio dell’estetica Schiaparelli: non l’abbiamo vista sfilare in passerella al Museo di Arti Decorative (dove ha appena inaugurato anche la prima mostra dedicata alla fondatrice di cui vi parliamo qui), bensì nel quartier generale della maison, al n.21 di Place Vendome, negli appartamenti che furono di Elsa e che contengono ancora parte degli arredi originali, tra cui la gabbia che si fece creare ed installare nella prima stanza all’ingresso del terzo piano da uno dei suoi amici artisti. Ecco, è stato ancor più straordinario ed emozionante vedere queste creazioni nella loro “casa”. Il primo colpo d’occhio è dato dai cinque completi più rappresentativi della collezione: quelli con le sculture di fiori.
Il nero, nella profondità che solo il velluto sa conferirgli, è lo scenario perfetto su cui sboccia una primavera di fiori variopinti. Ogni singolo petalo è dipinto a mano con maestria rinascimentale su un velo di tessuto in pelle e splende animato da pennellate di colore che esplorano una gamma cromatica che va dal giallo all’arancione passando per il blu e il bianco. Si diramano sulla scollatura e avvolgono le spalle con una naturalezza primordiale, irradiando onde immaginarie di profumi esotici. Le silhouette sono strutturate, gli abiti bustier con costole a segnare il punto vita, il tailleur di jeans diventa assolutamente couture. E poi, di stanza in stanza, un tripudio di grappoli d’uva, dorati con guizzi di perle candide, simbolo benaugurante d’abbondanza per eccellenza. E ancora, top matelassé in raso bianco panna che riportano ergonomicamente il seno delle modelle, earcuff top in metallo con pioggia di perle, abiti in raso con drappeggi sviluppati a tutto tondo e abiti in metallo battuto tempestati da brillanti. Pochissimi, neanche a dirlo, i colori portanti ammessi: nero, appunto, il blu, un unico rosso e poi bianco e argento. Il focus, è ancora una volta, sui dettagli degli accessori, punto focale di ogni look. E, protagonisti, ci sono sempre i dettagli anatomici, come il cuore/collana che completa la scollatura di un tubino in raso rosso. Proprio il cuore è il simbolo che fa da fil rouge: lo ritroviamo super tridimensionale anche come ciondolo, tempestato di cristalli, con al centro ben visibile una serratura in cui infilare metaforicamente una chiave. E poi le borse, piccoli capolavori tra arte e artigianato. E i cappelli, essenziali e potentissimi. Sembrano opulenti, invece sono capi semplicissimi, di una chiarezza estrema e disarmante. Una pulizia che rimanda agli anni ’30 del Novecento.
“A volte ci mettiamo sulla difensiva quando i critici ci accusano di voler fare solo cose belle. Ma cosa c’è di male nel voler fare cose belle?”, si chiede Daniel Rosberry. Assolutamente nulla, rispondiamo noi. E questa collezione trasuda bellezza in ogni suo dettaglio.
L'articolo L’Alta Moda di Schiaparelli recupera la libertà creativa del surrealismo di Elsa. Daniel Rosberry: “Ci accusano di voler fare solo cose belle, ma cosa c’è di male nel voler fare cose belle?” proviene da Il Fatto Quotidiano.