TAIPEI. Si è avvicinato camminando da dietro, indisturbato. Con pantaloni verdi, maglietta grigia, borsa nera a tracolla. E una pistola fatta in casa lunga 40 centimetri. Ha sparato due volte, colpendo la vittima al torace e al collo. Così è morto Shinzo Abe. Così cambia per sempre la storia del Giappone: in una mattina d'estate, nella città di Nara, a un incrocio stradale di fronte alla stazione Yamato-Saidaiji. L'ex premier più longevo del dopoguerra nipponico stava parlando da un piccolo palco in vista delle elezioni per la camera alta di domenica quando è stato ucciso dal 42enne Tetsuya Yamagami. Abe è stato portato in ospedale ma è apparso subito in condizioni critiche. Inutile la trasfusione di sangue, alle 17 locali è stato dichiarato morto. Il killer, che non ha nemmeno provato a scappare prima di essere arrestato, è un ex marine: ha prestato servizio fino al 2005. Più di recente aveva lavorato per un'azienda manifatturiera dalla quale si era licenziato.
Nella sua abitazione sono state ritrovate altre pistole ed esplosivi. Tutto di produzione artigianale, anche perché in Giappone è molto difficile entrare in possesso di armi. Tokyo ha sempre fatto vanto di una sicurezza che ora vacilla, di fronte a un attentato a cui i presenti, il Paese, il mondo hanno assistito con sgomento. L'assassino ha detto di non appartenere ad alcuna organizzazione e di non aver agito per «credo politico», bensì per «risentimento e insoddisfazione». La polizia ha aggiunto che Yamagami provava «rancore» nei confronti di «una organizzazione specifica» alla quale credeva Abe fosse collegato. Sui social giapponesi circola l'ipotesi che si tratti della Chiesa dell'Unificazione, fondata dal coreano Sun Myung Moon negli anni '50 e di stampo ultraconservatore. In Giappone si ritiene che il nonno e il padre di Abe avessero un legame con quel gruppo. Lo stesso Abe sarebbe intervenuto ad alcuni eventi. In un primo momento si era pensato al fanatismo religioso e a una vendetta: il 6 luglio è stato il quarto anniversario dell'esecuzione (con Abe premier) di Shoko Asahara, fondatore della setta Aum Shinrikyo e mandante dell'attentato alla metropolitana di Tokyo del 1995. Circolano diverse teorie complottiste: chi immagina che il killer sia di etnia coreana e chi invece segnala che il 7 luglio 1937 è la data in cui iniziò la guerra sino-giapponese.
Ciò che è certo è lo stato di choc in cui si trova il Giappone a livello politico e sociale. Secondo i più recenti dati Ocse, il tasso di omicidi è di 0,2 ogni 100 mila abitanti. Dato molto basso in confronto ai 6 degli Stati Uniti ma anche allo 0,5 dell'Italia. L'ultimo attentato contro un politico era avvenuto nel 2007, quando fu ucciso il sindaco di Nagasaki, Ito Itcho. Nel 1960, proprio il nonno di Abe fu accoltellato in maniera non letale alla coscia.
Con Abe il Giappone perde il suo punto di riferimento. Capo della fazione più grande del Partito liberaldemocratico al potere, di stampo conservatore, era ancora il deus ex machina della politica giapponese. Il premier Fumio Kishida era un suo protetto. E in molti erano pronti a giurare che Abe, dopo essersi dimesso nel 2020 per motivi di salute, fosse pronto a tornare in prima linea. Anche il governo cinese si è detto «choccato» e l'ambasciata di Pechino a Tokyo ha detto che Abe «ha contribuito al miglioramento delle relazioni». Ma sul web cinese c'è chi esulta, ricordando le visite di Abe al santuario Yasukuni, dedicato ai soldati dell'impero: eroi per Tokyo, criminali per Pechino. La giornalista cinese Zeng Ying ha dovuto scusarsi dopo le critiche ricevute per non essere riuscita a trattenere le lacrime durante un collegamento dal Giappone.