Un’organizzazione ultranazionalista annuncia la proiezione del documentario mirato a dare una versione negazionista dei fatti
Nessuna memoria condivisa, nessun rispetto per vittime e sopravvissuti, nemmeno nel giorno del dolore più profondo, quello dell’anniversario del genocidio. Il genocidio è quello di Srebrenica, che continua a provocare tensioni e attizzare polemiche in Bosnia-Erzegovina mentre s’avvicina l’11 luglio, la giornata delle commemorazioni.
Commemorazioni che quest’anno potrebbero essere rovinate da una grande provocazione. È quella annunciata da Istocna Alternativa (Alternativa orientale), un’organizzazione ultranazionalista serbo-bosniaca fieramente filorussa, da anni superattiva con azioni di “disturbo” nella vita sociale e politica del Paese balcanico.
Quella in programma l’11 luglio, tuttavia, rischia di diventare esplosiva. Istocna Alternativa ha infatti reso pubblico che proprio a Srebrenica nell’anniversario dei massacri proietterà un film-documentario che propaganda una versione negazionista dei fatti del luglio 1995, parlando - invece che di genocidio - di «liberazione di Srebrenica dalle orde criminali» che avrebbero occupato ai tempi la città, leggi migliaia di bosgnacchi inermi, tra cui donne, bambini e anziani.
Protagonista del film, della durata di un’ora, che sarà proiettato in una sala del centro della cittadina – collegata alla locale parrocchia ortodossa - proprio la figura di Ratko Mladić, condannato in via definitiva dalla giustizia internazionale per crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio, comandante in capo delle milizie serbo-bosniache che 27 anni fa conquistarono l’enclave. Orde, lo erano quelle di Mladić, che poi si dedicarono a una caccia all’uomo che si concluse in una mattanza durata giorni e che costò la vita a più di ottomila maschi bosgnacchi musulmani. Ma quella versione non corrisponde alla lettura distorta di tanti ultranazionalisti, in Bosnia ma anche nella vicina Serbia – ancora “ornata” da murales che glorificano Mladić, soprattutto a Belgrado, dove sono decine le scritte non cancellate sui muri della capitale “Mladić nostro fratello”.
A spiegare le ragioni della più che controversa iniziativa è stato Vojin Pavlović, numero uno dell’associazione, già tristemente celebre per aver fatto affiggere in Bosnia manifesti pro-Putin e Dodik «difensori dell’Ortodossia». «Noi non glorifichiamo Mladić e nessuno può impedirci di nominarlo», ha assicurato Pavlović, riferendosi alla legge bosniaca che vieta la glorificazione di criminali di guerra e il negazionismo del genocidio, norma imposta dall’Alto rappresentante della comunità internazionale che, da un anno, sta provocando lacerazioni politiche fortissime, malgrado non sia mai stata applicata concretamente. Ma «sono pronto a rispondere» davanti alla legge, ha aggiunto Pavlović, precisando che il film parlerebbe soprattutto delle vittime serbe pre-1995. Pavlović e i suoi sono famosi pure per aver appeso a Srebrenica poster con il volto di Mladić, in ringraziamento per la «liberazione» del 1995. E a Sarajevo si ricordano gli onori tributati da Alternativa con un monumento a Vitalij Curkin, defunto ambasciatore russo all’Onu, cui riconoscere il merito di aver messo il veto a una risoluzione delle Nazioni Unite che definiva Srebrenica genocidio.
Una posizione opposta a quella scelta in questi giorni dal Parlamento austriaco, che ha approvato una risoluzione importante a livello Ue sul fronte della cultura della memoria. Intanto, mentre i media a Sarajevo parlano di «iniziativa vergognosa», vittime e sopravvissuti sono sul piede di guerra, preoccupate dalla contemporaneità del film pro-Mladić e delle commemorazioni a Potocari, un pugno di chilometri da Srebrenica.
Ci sono «fosse comuni, tombe bianche, ci sono prove, verdetti di tribunale, c’è tutto» a comprovare quanto accadde a Srebrenica nel 1995, ha dichiarato ferita Munira Subasić, la “Madre di Srebrenica” più conosciuta. «Noi reagiremo, non abbiamo paura», ha promesso Sehida Abdurahmanović, delle Madri di Srebrenica e Zepa. Ancora più dura Sonja Biserko, presidente dell’Helsinki Committee in Serbia, che ha sostenuto che «Belgrado e Banja Luka» lavorerebberero per definire la guerra in Bosnia «come liberazione dei serbi». E un genocidio non può essere accaduto, in questa visione delle cose.